Bisogna chiarirlo subito: affrontare la complessa struttura sia drammaturgica che tematica della tragedia di Frank Wedekind non è impresa di poco conto, c’è un mondo di riflessi e riverberi nascosti che si rincorrono in quelle pagine fitte di mistero ed in odore di gioventù, c’è il senso recondito dell’adolescenza, il movimento sgraziato ed esitante con cui si forza ogni più forte serrame che v’è nella casa, e c’è l’angoscia che accompagna la scoperta, l’innocenza e la colpa in singolar tenzone ed allo specchio, l’ipocrisia morbosa degli adulti e il desiderio puro e adiamantino dei ragazzi, insomma c’è tutto un universo di tensioni ritratto nel repentino e naturale dispiegarsi.
In tale prospettiva, risulta senza dubbio lodevole lo sforzo registico di Tommaso Tuzzoli che, servendosi di un adattamento convincente ed incisivo, organizza una macchina scenica di grande precisione e definizione plastica in cui gli attori agiscono quali attanti di una vicenda esistenziale che vuole farsi paradigma universale di un conflitto mai risolto, il conflitto tra le ragioni dell’individuo e quelle della Storia, tra fisiologica sperimentazione dei sensi e costumato rispetto di un malinteso ethos sessuale, quasi chiosa legittima o auspicabile eco di certe esecrabili aggressioni degli ultimi mesi, anche queste, come quelle perpetrate nel drammatico svolgersi del plot, triste conseguenza di una morale filistea e borghese che si nutre di sciocco pregiudizio, rivelando, nonostante l’ossequio formale all’Ordine ed al Quieto Vivere, volgarissima grettezza di pensiero e gusto.
Se qualcosa sembra venir meno nell’impegnativa messinscena fin de siècle, è senza dubbio la direzione degli attori dacché questi, a prescindere dalle individuali evidentissime potenzialità espressive, sembrano purtroppo poco coesi, quasi fossero voci che in un coro non trovano un armonico e piacevole accordarsi, grandezze di disomogeneo pondo inutilmente irrigidite in un ostinato tecnicismo performativo e pronte, incomprensibilmente, ad immolare l’urgenza repentina del sentito sull’altarino senza vita dell’arte di maniera e, nella dialettica infernale tra retorica e passione, come la gioventù nel dramma del tedesco viene soffocata dalla presunta maturità dei grandi, il sentimento e il cuore della pièce per asfissia si spengon poco a poco come brace che arda senza fuoco.
Visto il
06-11-2009
al
Nuovo
di Napoli
(NA)