UN CONCERTO IMPERDIBILE
Terza opera della stagione dorica, Roberto Devereux è andata in scena in forma di concerto a causa dei tagli operati dal Governo allo spettacolo. Dopo l’omaggio mozartiano alla musica del Settecento e un’incursione nel contemporaneo, questo titolo, caposaldo del repertorio belcantistico, seppure poco frequentato, è stato proposto in una edizione da ricordare. Peccato per chi non c’era, che ha irrecuperabilmente perso un’opera invece impedibile, sia per la pagina musicale che per l’esecuzione, tanto che ne verrà inciso un cd.
Vera protagonista dell’opera è il soprano, Elisabetta di Inghilterra, uno dei ruoli più impervi del repertorio Ottocentesco, ruolo in cui ha debuttato con enorme successo Dimitra Theodossiou (alla fine un’ovazione del pubblico).
Dizione perfetta, registro curato, ottimi gorgheggi, fraseggio ricco di sfumature, recitazione teatralmente appropriata seppure limitata nei movimenti agli accenni che un concerto consente, voce dotata di grande espressività. Al primo ingresso passa con disinvoltura dalla rabbia del “Fido alla sua Regina” al sentimento di “L’amor suo mi fe’ beata” alla speranza di “Ah! Ritorna qual ti spero”, arrivando, nel successivo colloquio con Roberto, a cantare “Oh, giorni sventurati” in un sussurro che stringe il cuore. Oppure quando, sempre nel primo atto, nello stesso verso, cambia repentinamente intonazione in “E non m’ami? Bada!” passando dall’incredulità alla voglia di vendetta. Nel secondo atto affronta senza incertezze il difficilissimo brano del faccia a faccia con Roberto alla presenza di Nottingham, con improvvisi e continui trilli ed i repentini passaggi dal registro alto a quello basso in una tensione fortemente tragica, fino al lugubre “Và” recitato e poi cantato dell’aria conclusiva del secondo atto.
Accanto a lei nel ruolo del titolo un sicuro e bravo Massimiliano Pisapia, voce di un bel colore brunito, timbro deciso e una perfetta scansione. Ottimo nel terzo atto in “Ed ancor la tremenda porta non si dischiude”, quando la sua voce è tonalmente identica al suono lugubre di trombe e tromboni su oboe e flauto solitari.
Prestazione dignitosa quella di Roberto Frontali nel ruolo del Duca di Nottingham, che ha fatto valere l’esperienza ed il mestiere che ha, pur incontrando alcune incertezze, ed ha dato il massimo in “Ieri taceva il giorno” nel primo atto, con la voce commossa da “Forse in quel cor sensibile si fe’ natura il pianto”. Invece deludente la duchessa di Nottingham di Nadia Palacios, la cui voce è troppo poco scura, possiede un debole registro basso, un acuto con riverbero metallico ed un potente centrale che tenta di supplire gli altri carenti. In ruoli minori ha accusato notevoli difficoltà (forse un’improvvisa indisposizione) Pietro Picone (lord Cecil), invece buona prestazione di Ezio Maria Tisi (sir Raleigh) e Pierpaolo Palloni (un paggio e un familiare di Nottingham).
Grosso merito del successo va al maestro Bruno Campanella, vero specialista del repertorio, che ha saputo condurre la filarmonica marchigiana a livelli eccellenti. A cominciare dall’overture, con l’inno inglese morbidamente affidato a flauto, oboe e violini, con il guizzo di campanelli e le pause nella partitura che creano il senso dell’attesa e dell’ineluttabile. Funzionano bene i passaggi, fondamentali nella scrittura, degli archi, allungati e vibrati; funzionano benissimo se si considera che l’orchestra ha una sezione di archi non numerosissima.
Infine buona prestazione da parte del coro lirico marchigiano (seppure l’opera non prevede decisivi interventi corali), egregiamente preparato da Matteo Salvemini.
Ancona, teatro delle Muse, 18 gennaio 2006
Visto il
al
Donizetti
di Bergamo
(BG)