La seconda proposta del cartellone “Grande Teatro” si è contornata di un’addizionale attesa rispetto al solito: in questo caso, la drammatizzazione di un tema sociale particolarmente attuale e spinoso coesiste con la scelta di un attore noto ed affascinante nel ruolo del protagonista.
Un accostamento che quasi stride alle orecchie e che possiamo pensare abbia generato due macroscopici sottogruppi di pubblico: una cospicua parte si sarà indubbiamente lasciata affascinare dalla presenza sul palco di Gassman, mentre altri avranno voluto prediligere la tematica socio-culturale contestualizzata nella nostra realtà odierna. Qualunque sia stata la spinta motivazionale, il debutto veronese di ieri sera è stato indiscutibilmente felice.
La scenografia è degna del miglior neorealismo cinematografico e l’utilizzo degli spazi scenici e delle tecniche audio-video rende accattivante la trasposizione teatrale di un testo “scomodo”. Verona, come la maggior parte delle città del Nord Italia, è una città ricca di immigrati, di culture eterogenee che convivono e spesso si incontrano-scontrano generando miscellanei prodotti di una non completa capacità di comprendere ciò che è “diverso”, inspiegabilmente impossibilitati a sospendere quel giudizio che troppo facilmente traduce le differenze in devianze e la necessità di un rispetto civile nell’obbligo di sudditanza ad uno standard convenzionale. “Roman e il suo cucciolo” è una straordinaria occasione per spostare l’attenzione di una fascia di popolazione “fortunata” su una realtà parallela sicuramente scomoda ma non meno reale.