Prosa
ROMEO E GIULIETTA

La lettura che Ferdinando Bru…

La lettura che Ferdinando Bru…
La lettura che Ferdinando Bruni restituisce di Romeo e Giulietta, in scena in questi giorni all’Elfo di Milano, parte dalla traduzione stessa del testo ad opera del regista, che consolida un approccio sempre rigoroso di Bruni con i testi, alla ricerca dell’indagine prima, quella sulla parola da agire sul palcoscenico. All’interno di un non-luogo di archi e scale di sapore contemporaneo, di fiore degli anni, hortus conclusus e danze macabre pensato da Andrea Taddei, tutto, nella messa in scena, gioca a solcare una mezza via fra passato e presente, alludendo alla sempiterna attualità delle vittime innocenti delle fazioni in lotta, ad amori magari simili che hanno luogo nei Balcani, piuttosto che lungo la striscia di Gaza. Il richiamo è ancor più esplicito nei costumi, disegnati dallo stesso Bruni, ed in particolare quelli dei ragazzi, disegnati come vere e proprie gang metropolitane. Nel modellare il testo shakespeariano sul tempo adolescente il regista porta a compimento forse il versante più dissacrante e riuscito. La rappresentazione, che vede nei ruoli principali Nicola Russo (Romeo), Federica Castellini (Giulietta), Ida Marinelli (la balia), Luca Toracca (il frate Lorenzo) ed Edoardo Ribatto (Mercuzio), nel primo atto in particolar modo, riesce a scolpire una contemporaneità per così dire assoluta sia dell’amore che della gioventù, dell’incoscenza e della carica vitale di quegli anni, di cui Ida Marinelli, sempre efficace nel suo contrappunto fra ironico e drammatico, che si tratti di Checov o di Shakespeare, è accondiscendente contraltare. A tratti le luci di Nando Frigerio, soprattutto nel finale, riescono a ricondurre un’atmosfera densa di sentimento estremo, nonostante nel secondo atto, giocato su un ritmo volutamente più concitato e incalzante, il pathos non arrivi alla densità necessaria, smorzato dalla gestione insistita di alcuni movimenti e trovate, come, ad esempio, il reciproco scalzarsi dei parenti dal bordo del letto dove viene trovata morta Giulietta, che raggiunge venature parossistiche, stridenti con i richiami quasi di estasi esoterica da pittura preraffaellita nascosti nelle pieghe dell’abito della sfortunata amante, che ricorda proprio l’Ofelia di Dante Gabriel Rossetti. Così pure la madre, che si perde al bordo del matrignesco disneyano in più d’un recitativo e il padre della ragazza, freddamente distante. La produzione Teatridithalia, che ha debuttato lo scorso luglio nella cornice magica del Teatro Romano di Verona, realizzata in collaborazione con Estate Teatrale Veronese e AMAT, riesce comunque a coinvolgere il pubblico, grazie al richiamo ad un’umanità fallace (di cui estremi rappresentanti sono proprio il frate e la balia), un'umanità votata più alla debolezza che alla forza dei suoi personaggi, quasi a dire che, in fondo, Romeo e Giulietta, è una tragedia degli errori, e d’altronde, a ben indagare il testo e le sue situazioni, per buona parte, così è. Milano, Elfo, 25/1/2009
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