Lirica
ROMéO ET JULIETTE

DA GENOVA A NEW YORK (E RITORNO)

DA GENOVA A NEW YORK (E RITORNO)

“Roméo et Juliette” è legata all’Italia, Gounod  vi mise mano quando risiedeva a Roma e iniziò dapprima a comporla sul libretto italiano di Felice Romani (già utilizzato da Vincenzo Bellini per i Capuleti e Montecchi) per poi affidare ai suoi fidati collaboratori Barbier e Carré la versione francese definitiva destinata al Théatre Lyrique di Parigi. E le suggestioni italiane e l’Italia vista con l’occhio del francese dell’Ottocento sono la chiave di lettura della produzione ora in scena al Carlo Felice nell’allestimento firmato per l’Opéra di Montecarlo dal suo direttore artistico Louis Grinda con  scene di Eric Chevalier.

Si tratta di una produzione curata dal punto di vista visivo che rimanda alla pittura di fine Ottocento, fa largo uso di “tableaux vivants” e, se pur non abbia un’impostazione registica forte, funziona per dare pieno risalto alla musica incantatoria di Gounod, favorendo la continuità del discorso narrativo. 
All’inizio, sul velatino di proscenio è riportata l’immagine di  una coppia che si scambia un bacio, citazione del famoso dipinto di Hayez e immagine archetipa degli amanti di Verona; oltre il velo si scorge la scena dalle stilizzate architetture romaniche che si anima di comparse inizialmente in dissolvenza per poi accendersi di colore e materia (merito dei curatissimi costumi tardomedievali di Carola Volles).
La vicenda è ambientata in esterni e, se pur solo accennata, Verona appare riconoscibile nei loggiati con le bifore, gli edifici religiosi di mattoni, i palazzi merlati della Piazza dei Signori. Un grande praticabile mostra una piazza inclinata a valva di conchiglia stilizzata,dove bianche fasce marmoree definiscono spicchi sulla pavimentazione in cotto e nel suo ruotare diventa lo spalto di un bastione che accenna il giardino di Giulietta oltre cui si vede un profilo collinare orlato di cipressi.
Le scenografie essenziali coadiuvate dalle luci perfette ( e molto pittoriche) di Roberto Venturi hanno valore evocativo  e gli sfondi brumosi dei fondali dipinti si prestano a inquadrare, isolandoli in un’atmosfera elegiaca e sospesa, i quattro duetti d’amore con i due innamorati avvolti da una luce calda e dove l’alcova è un telo bianco calato dall’alto che ricrea col suo drappeggio un letto sulla piazza di mattoni illuminando col suo candore il tenero amore della coppia.
Il movimento scenico è convenzionale, baci, abbracci, sguainar di spade, ma curato e credibile, e l’allestimento ha il pregio di essere romantico e delicato senza scadere nel kitsch.

Motivo d’eccellenza la presenza sul podio di Fabio Luisi, guest conductor del Met e da poco direttore onorario del Carlo Felice, in cui sono riposte molte speranze per la rinascita artistica del teatro. E si percepisce subito la differenza: il direttore genovese sa ottenere il meglio dalla compagine orchestrale e consegue un perfetto accordo fra buca e palcoscenico. La progressione drammatica e l’evoluzione psicologica dei due protagonisti sono marcate da una tensione in crescendo, ma sempre calibrata e di assoluta precisione. Vitalità ritmica e pathos sottolineano l’arco narrativo senza scivolare nel sentimentalismo, ma la componente elegiaca è comunque garantita dalla cura di uno strumentale prodigo di sfumature e colori. Ottima anche la prova del coro preparato da Marco Balderi, soprattutto nel commovente “Jour de deuil”.

La produzione aveva fra gli elementi di richiamo per il grande pubblico la partecipazione di Andrea Bocelli  nel ruolo protagonista, alla recita a cui abbiamo assistito il ruolo di Romeo è stato sostenuto da José Bros. Il cantante spagnolo ha convinto, oltre che per le naturali doti timbriche, per la linea vocale curata, la buona dizione e una sicurezza vocale che  ha consentito di differenziare i diversi toni  e risolvere con gusto le pagine più  spinte.
La giovanissima Alessandra Marianelli è assolutamente credibile nelle vesti di una quindicenne e risulta una Juliette incantevole per la grazia del portamento, l’ovale del bel viso incorniciato da lunghi capelli biondi, la delicatezza dei lineamenti. La voce è ancora molto leggera e il ruolo vorrebbe talvolta suoni più sostenuti, ma è omogenea ed emana una freschezza di accento che rende il personaggio spontaneo e non manierato.
Nei ruoli minori un plauso ad Annalisa Stroppa, paggio  ironico dal canto curato che dona alla chanson di Stéphano leggerezza brillante; bene anche la temperamentosa Gertrude di Kamelia Kader. Alessandro Luongo è  un Mercutio irruento di solida vocalità; non sempre a fuoco il Tybalt di Blagoj Nacoski. Il Frère Laurent di John Paul Huckle non ha l’intensità richiesta dal ruolo, apprezzabile invece il Capulet di Valdis Jansons. Concludono adeguatamente  il cast  Manuel Pierattelli  (Benvolio), Franco Sala (Paris), Biagio Pizzuti (Grégorio) e Fabrizio Beggi (il Duca).

Calorosi applausi per tutti, merito di uno spettacolo di livello che ridona autorevolezza al teatro.

Visto il
al Carlo Felice di Genova (GE)