ROMEO E GIULIETTA: IL KOLOSSAL

ROMEO E GIULIETTA: IL KOLOSSAL

Nell'immaginario collettivo Verona è indissolubilmente legata alla storia di  Romeo e Giulietta, ma all'Arena l'omonima opera di Gounod  era assente da oltre trent'anni e solo ora rientra  in repertorio in un nuovo allestimento particolarmente adatto al contesto, in quanto ha  il merito di rendere un'opera tutt'altro che popolare di fruizione immediata come fosse un musical e l'opera-lyrique  svela un'anima  "rock" .

Il regista Francesco Micheli instaura un efficace sistema di relazioni, sfrutta la contiguità Arena-Verona , il valore archetipico della storia d'amore contrastata ed inoltre, adottando una struttura scenica ispirata al teatro elisabettiano, si riallaccia idealmente alla tragedia  di Shakespeare da cui è tratto il libretto. Lo spettacolo sottolinea la spaccatura, l'unione impossibile, il conflitto fra fazioni, lo scontro generazionale e la scena di Edoardo Sanchi con le sue gabbie metalliche traduce visivamente blocco e separazione. Al centro del palcoscenico troneggia una specie di borgo medievale, una struttura cilindrica dove scale a pioli dorate racchiudono ballatoi e scalinate a vista. La struttura si divide  poi in due metà (che costituiscono le quinte al cui interno si concentra l'azione scenica) e sui vari piani dei due blocchi opposti si schiera il coro, in una sorta di "Globe", teatro nel teatro.
L'opera è introdotta da due giovani mimi che interpretano Roméo e Juliette, mentre dalla platea irrompono ragazzi in abiti contemporanei a marcare il valore universale di una vicenda  in cui passato e presente si confondono. Un immenso stendardo con una veduta medievale di Verona ricopre le gradinate per poi spaccarsi scomparendo fra le pietre dell'Arena.

Per sottolineare l'opposizione delle due fazioni, il regista adotta metafore calcistiche e l'ellissi dell' Arena diventa  una  "curva"  di tifoserie opposte, segnalate dalle scritte dei cognomi delle due famiglie  e dai loro  stemmi araldici dipinti su immensi stendardi adagiati sulle gradinate. L'allestimento è caratterizzato da strutture in ferro mobili  praticabili in un mix di stili surreale: dal totem ricoperto di squame dorate di gusto incaico su cui troneggia il Duca di Verona, al torrione di filigrana argentea per gli amori notturni, alla bolla dalle vetrate colorate "optical"  per la cappella, al fuoristrada alato e scoppiettante per la Regina Mab. Gabbie sferiche ospitano  le scene di duello ed armature metalliche imprigionano simbolicamente Giulietta riducendola a manichino come quando il corpo prigioniero in nuziali merletti di ferro rimane in piedi e solo il capo si riversa all'indietro per effetto della pozione. Il finale sarà pure di facile effetto, ma nel contesto funziona:  Romeo e Giulietta escono ai lati opposti della scena per poi ricongiungersi  in platea e uscire  dall'Arena mano nella mano incontro alla città simbolo del loro amore.
Le idee sono tante, forse troppe e talvolta kitsch, ma l'effetto kolossal è assicurato, anche dai fantasiosi e innumerevoli costumi di  Silvia Aymonino  che creano una componente spettacolare "eccessiva " come si conviene a un musical in una contaminazione di stili (rinascimentale, post punk, contemporaneo ) ed in un tripudio di piume, merletti, pelle, borchie e fiori.
Puntuale il lighting design di Paolo Mazzon, che accende di rosso sangue la scena e illumina di blu cobalto le gradinate dell'arena e non potevano mancare i  lumini in cima alle gradinate speculari alle candele del pubblico.

Nino Machaidze è una Juliette assolutamente credibile,  scenicamente disinvolta e di sensuale bellezza (non a caso è proprio in questo ruolo che si  impose all'attenzione di pubblico e critica  quando tre anni fa sostituì Anna Netrebko a Salisburgo). A livello interpretativo il personaggio è ricco di sfumature e si apprezza l'evoluzione da rampolla superficiale a donna matura e consapevole. Se si avverte qualche limite  nelle colorature e acuti dell'arietta, i momenti drammatici hanno grande intensità e la cantante trionfa in  "Amour, ranime mon courage"  e nel finale.
Stefano Secco risolve il gravoso ruolo di Romeo  sul versante lirico con notevole capacità di accento e di fraseggio.
"Lève-toi,soleil"  vorrebbe forse maggiore possanza vocale, ma è nelle pagine più introspettive e malinconiche, come nel languido e avvolgente "Va repose en paix"   dai piani perfettamente calibrati, che ottiene i risultati migliori.
Nei ruoli minori un plauso a  Ketevan Kemoklidze, Paggio en travesti  dalla vocalità elegante e leggera. Artur Rucinski è un buon Mercutio e la sua ballata risulta  brillante come il personaggio; incisivo il  Tybalt di Jean –Franois Borras, Cristina Melis è una Gertrude apprezzabile. Non altrettanto convincenti  le altri parti di fianco: il Frère Laurent di Giorgio Giuseppini è partecipe ma la voce non è sempre a fuoco, insufficiente il Capulet di Manrico Signorini. Concludono adeguatamente il cast Paolo Antognetti (Benvolio), Nicolò Ceriani (Paris), Gianpiero Ruggeri (Grégorio) e Deyan Vatchkov (il Duca di Verona).

Sensibile e calibrata la direzione di Fabio Mastrangelo, attenta a mettere in evidenza i risvolti più elegiaci e al tempo stesso a tenere sotto controllo i turgori da grand-opéra per garantire giusta progressione drammatica e dare massimo risalto ai quattro duetti cardini dell'opera. Ottima la prova del Coro sia nelle pagine  brillanti che in quelle più elegiache e commosse.

Grandissimo successo per uno spettacolo destinato a diventare un nuovo classico da Arena.