Roméo et Juliette è un'opera all'interno della quale il senso del dramma viene quasi sempre mitigato da quell'afflato lirico di ampio respiro che tutta la pervade, oltre che, naturalmente, da quell'eleganza e raffinatezza tipiche dello stile melodico, così permeato di classicismo, di Gounod che eserciterà il suo pesante influsso su Bizet e le successive generazioni nella Francia di fine Ottocento.
Ben rende questo aspetto Andrea Cigni che ha curato scene e regia dell'allestimento dei teatri Verdi di Pisa, Alighieri di Ravenna, Sociale di Rovigo e del centro servizi culturali Santa Chiara di Trento, proposto per questa stagione anche dal Circuito Lombardo. Quella di Cigni è una regia raffinata, non invasiva, che si avvale del magistrale uso delle luci di Fiammetta Baldisseri e che tende a mettere in primo piano musica e recitazione.
I cantanti si muovono all'interno di una cornice fissa costituita da tre pareti blu cobalto, sormontate da un camminamento percorribile, in ognuna delle quali si aprono quattro porte; al centro spicca una semplice pedana rialzata. Tutto è asettico, squadrato, lineare, insomma uno spazio dell'anima quasi senza tempo.
Il coro esegue il prologo mentre nel buio un letto dalle lenzuola macchiate di sangue resta sospeso a mezz'aria; poi la festa. I costumi sono a noi contemporanei, di tinte chiare per i Capuleti, neri per i Montecchi. Il terzo atto si apre, a segnalare la presenza di frère Laurent (qui in verità in abiti da prete), con un profumo di incenso che pervade la sala e dei fasci di luce bianca proiettati sulle pareti, oltre che sopra un velatino, a formare delle croci; candele accese e un catafalco candido al centro, invece, per il quinto atto.
Buono il cast. Su tutti spicca una Serena Gamberoni in piena forma che, dopo il successo recentemente conseguito a Parma nei panni di Oscar in Un ballo in maschera, interpreta qui una Juliette totalmente convincente, sia sul piano attoriale sia su quello vocale; dotata di uno strumento dal timbro chiaro e pulito, ella mostra di sapersi abilmente destreggiare all'interno della partitura in tutta la sua estensione con acuti ben modulati e di straordinaria limpidezza uniti a un registro centrale corposo. Bene, nelle vesti di Roméo, anche un Jean-François Borras che ci è parso molto più maturo di quanto non sia stato lo scorso anno interpretando Alfredo ne La Traviata: la voce è solida, ben proiettata e molto curate appaiono soprattutto le mezze voci. Fra gli altri non male come presenza scenica e intonazione il Mercutio di Mihail Dogotari, poco preciso nell'emissione il Tybalt di Saverio Fiore, un po' monocorde il Capulet di Park Taiwan. Di contro, complessivamente convincenti, invece, Abramo Rosalen nelle vesti di frère Laurent, Nadiya Petrenko in quelle di Gertrude e Silvia Regazzo che ha interpretato uno Stéphano davvero vivace.
Molto attente, precisa e calibrata la direzione dell'orchestra I Pomeriggi Musicali ad opera di un giovane Michael Balke che ha saputo sottolineare con perspicacia i tanti momenti lirici, mettendo in evidenza con maestria tutte le sfumature di una partitura solo apparentemente poco complessa. Buona, nonostante qualche incertezza iniziale, anche la prestazione del coro del Circuito Lirico Lombardo preparato da Antonio Greco.
Teatro gremito come sempre, straordinario successo di pubblico.