Lirica
ROMéO ET JULIETTE

Venezia, teatro La Fenice, “R…

Venezia, teatro La Fenice, “R…
Venezia, teatro La Fenice, “Roméo et Juliette” di Charles Gounod IL MONDO IN UN DISCO DI VINILE La vicenda degli innamorati di Verona, già messa in musica da diversi compositori fra cui Bellini e Berlioz, non poteva lasciare insensibile l'autore del Faust, in cui la materia universale del poema goethiano viene adattata allo spirito e alla tradizione dell'opéra-comique secondo una sensibilità squisitamente intimistica. Così è anche per il dramma di Shakespeare, musicato con vena spontanea e fluente e improntato a un caldo lirismo. Titolo raro in Italia, addirittura mai dato a Venezia, viene rappresentato alla Fenice nella seconda versione (1888). La nuova produzione è affidata al giovane Damiano Michieletto, regista del Cappello di paglia di Firenze (Genova, teatro Carlo Felice) e della Gazza ladra, premio Abbiati 2008 (Pesaro, ROF e Bologna, teatro Comunale). Michieletto trasporta l'azione ai giorni nostri: bande punk e dark denotano i due gruppi familiari rivali, come già nel film di Baz Luhrmann del 1996 con Leonardo Di Caprio. Ma l'idea ci sta e funziona: il poema narra sentimenti universali e i giovani d'oggi sono questi. L'ambientazione è originale: un giradischi (scena di Paolo Fantin). Sul sipario è raffigurato un disco in vinile e, quando questo si alza, sul palco c'è un enorme giradischi, su cui si svolge tutto. All'inizio la festa ha luogo in una discoteca. I costumi di Carla Teti prediligono i colori fluorescenti (anche per le cuffie nere con aculei) e dark, ma non spiccano per bellezza. Il regista sa muovere le masse ed i protagonisti e alcuni momenti sono particolarmente riusciti, come il saluto di Giulietta dopo la scena del balcone: la ragazza è immobile e viene portata via dal disco che gira lentamente sul piatto del giradischi. Invece proprio la scena del balcone non convince, con Giulietta a cavalcioni sopra il pick up enorme (a tacere poi dell'alzarsi dello stesso quando Roméo canta “Lève-toi, soleil!”). Eccessivo poi il finto stupro alla governante di Juliette da parte del branco. Inutile la presenza dei barboni a cui Frère Laurent distribuisce panini avvolti in carta argentata, barboni intabarrati nelle coperte che dopo il rito del matrimonio spargono coriandoli sopra gli sposi. Però c'è troppo movimento e troppo rumore in scena. Alla fine del terzo atto la scena si tinge rosso, Tybalt viene portato via in barella dai servizi dell’ordine e un poliziotto (in realtà il Duca) fa l’arringa. Nel quarto e nel quinto atto le luci (disegnate da Fabio Barettin) dello sfondo (viola, blu e poi verdi) acquisiscono maggiore importanza e contribuiscono a ricreare la giusta atmosfera notturna e ad isolare i destini dei due innamorati, conferendo pregnanza emozionale al canto. L’elemento caratterizzante dell'ultima parte atto è un’immensa cuffia da ascolto adagiata sul disco di vinile che ruota dolcemente, il gigantesco auricolare rovesciato e imbottito ricrea un’accogliente alcova su cui si amano i due giovani (lui in boxer, lei in sottoveste verde acido), divenendo poi letto di morte per Giulietta: funzionale e al tempo stesso simbolico, in quanto amore e morte coincidono. Tybalt, o meglio il suo spettro, è un morto vivente con un bouquet in mano, che cammina lungo il disco a scandire le ore come fosse la morte; anche il corteo degli invitati alla cerimonia nuziale disposti immobili sul disco che ruota introduce una nota di mestizia che prelude al tragico epilogo. Poco chiare le scritte sul fondo della scena nel terzo atto (“l'avenir c'est nous!”) e sull’arco per la testa della cuffia (“printemps”). Non appropriate le coreografie di Roberto Pizzuto, soprattutto nei valzer di apertura. I due protagonisti risultano assolutamente credibili in ruoli che più di altri richiedono prestanza fisica, giovanile freschezza e spontaneità. La giovane e bella Nino Machaidze, recentemente apprezzata nel repertorio belcantista italiano, non sembra però trovare la giusta chiave interpretativa per Juliette, di cui non mette in luce la dolcezza, il coinvolgimento emozionale e l’infinito lirismo. Funziona meglio all’inizio, nel suggerire la rampolla annoiata e viziata senz’anima che non conosce l’amore, o nei momenti più drammatici, dove la voce “tagliente” e precisa conferisce incisività abbacinante. Grande successo personale per Eric Cutler, chiamato a sostituire Jonas Kaufmann. Cutler è una piacevole sorpresa e non fa rimpiangere il divo. Il tenore ha incontrato unanimi favori per l’ottima presenza scenica, la voce squisitamente lirica e un fraseggio appassionato adatto a Roméo ed allo stile francese. Il ruolo gravoso è stato sostenuto senza cedimenti fino alla fine e affrontato con intelligenza smorzature e salite agli acuti. Un Roméo rasta che ben si accompagna alla Juliette dai capelli fucsia. Come spesso avviene nel repertorio francese, la riuscita dei ruoli minori è importante per la corretta definizione dell’opera. Markus Werba è uno splendido Mercutio, un palestrato che spicca per la recitazione disinvolta e in sintonia con l’allestimento, tratteggiando un personaggio impetuoso e “sopra le righe” ma al tempo stesso “amico fragile”; la vocalità è raffinata e dalla linea morbida e fluente, anche nella brillante ballata del primo atto. Juan Francisco Gatell plasma un Tybalt dalla presenza forte e inquietante, fisicamente simile a Marilyn Manson, supportata da voce incisiva. Convince il commovente Frére Laurent di Giorgio Giuseppini per la voce morbida e profonda adatta al ruolo “aulico” del sacerdote, mentre non spicca per mezzi vocali il Capulet di Luca Dall’Amico. Scenicamente disinvolta, ma un po’ leggera Ketevan Kemoklidze nel ruolo en travesti del graffitaro Stéphane. Fra i comprimari Michele Bianchini è un Duc de Vérone poco autorevole e Anne Salvan una modesta Gertrude, presentata come donna delle pulizie nella discoteca con tanto di sacco nero di plastica per la spazzatura al seguito. Concludono il cast Nicolò Ceriani (Paris) e Antonio Feltracco (Benvolio). Già dalle prime battute la direzione di Carlo Montanaro risulta pesante e stilisticamente inadeguata a mettere in luce le finezze armoniche quasi evanescenti della musica francese e sembra adottare anche a livello ritmico le dinamiche del melodramma italiano ottocentesco a scapito della compostezza vibrante e leggera dell’opéra-lyrique. Più puntuale la prova del coro diretto da Claudio Marino Moretti. Qualche posto vuoto a teatro, difficile da raggiungere nella confusione del carnevale. Maschere anche fra il pubblico, con qualche polemica per chi sedeva dietro in platea. Pubblico internazionale-turistico e plaudente. Visto a Venezia, teatro La Fenice, il 22 febbraio 2009 FRANCESCO RAPACCIONI con la collaborazione di Ilaria Bellini
Visto il
al La Fenice di Venezia (VE)