Prosa
ROMOLO, IL GRANDE

Dürrenmatt, Romolo e la saggezza dei polli

Dürrenmatt, Romolo e la saggezza dei polli
In un Politeama in cui ancora riecheggiavano i fasti dell'ultima rappresentazione del Nabucco di Verdi per la regia di Gigi Proietti e diretto dal maestro Daniel Oren, vedere il teatro pieno per metà è stato quasi un colpo al cuore. Nessuna retorica, ma semplicemente un confronto tra quello che solo un paio di giorni fa è stato, e già ieri sera non era più: per "Romolo il Grande" con un protagonista del palcoscenico italiano come Mariano Rigillo - felice ritorno dalle nostre parti -, il pubblico si è fatto desiderare. Eppure in scena andava una delle opere più succulente di Friedrich Dürrenmatt per la regia di Roberto Guicciardini, uno che a teatro ci ha abituati a spettacoli di prim'ordine, per intenderci. Misteri del pubblico catanzarese, che non sa di essersi perso non il migliore spettacolo della stagione, ma di certo uno tra i più interessanti e godibili. Ambientato nel 476 dopo Cristo, anno di definitiva caduta dell'Impero romano, il testo di Dürrenmatt si svolge nella magione, ormai poco più di un rudere, in cui il sovrano Romolo Augusto trascorre gli ultimi suoi giorni da imperatore circondato da approfittatori e inetti che non comprendono, se non alla fine - così come lo spettatore/lettore -, che la sua scelta di non combattere l'invasione dei germani di Odoacre, sia in realtà parte di un piano attuato molti anni prima, nato dalla condanna inesorabile di Roma, regno di corruzione, sangue e indicibili disumanità. Mariano Rigillo nel ruolo di Romolo è sembrato pienamente a suo agio, con una invidiabile padronanza della scena come solo i grandi sanno fare; intorno a lui un ricchissimo cast, capitanato da Anna Teresa Rossini, nella parte di Giulia, l'imperatrice - che tanto sembra una vanesia eroina da soap opera - e da Liliana Massari in scena sua figlia Rea, aspirante attrice. Personaggi imbrobabili, divertenti alcuni, strampalati, tutti gli altri: se Dürrenmatt indicava Romolo il Grande come "una commedia che non si attiene alla storia", la versione di Guicciardini fa molta leva proprio su questo - seppure non sfrutta al meglio le possibilità offerte dal testo -, a partire dai costumi che altro non sono che una esasperazione degli stessi personaggi. Metà contemporanei alla nostra epoca, metà romani - nel senso dell'epoca -, i costumi di Lorenzo Ghiglia sono stati un vero punto di forza, ancorché enfatizzati da una trama che vuole come unica via di salvezza per Roma il patto con un fabbricante di calzoni (Cesare Rupf/ Francesco Sala) dai toni alla Wanna Marchi. Molto belle anche le scene, sempre di Ghiglia: della casa di Romolo - la cui corona d'alloro non fa ch perdere le sue foglie d'oro, rivendute sapientemente per poter campare -, le rovine non sono altro che le rovine della stessa Roma, con busti, colonne e troni in pietra a testimoniare la grandezza che fu e che non è più, coperta da stracci, verde e polvere. Con una "nota" in più, le musiche del crotonese Lino Patruno, lo spettacolo ha perso un po' di ritmo nella seconda parte dello spettacolo - gli ultimi due atti -, in maniera direttamente proporzionale alle riflessioni che spinge a fare: Romolo/Rigillo incontra finalmente Odoacre (Virgilio Zernitz) e scoprono entrambi di pensarla allo stesso modo, di guardare con sospetto anche ai propri cari, di provare indifferenza per il potere e di amare i polli e tutto ciò che ne comporta l'allevamento. Già, polli e galline - e uova - sono l'emblema di tutta la commedia: Romolo chiama i suoi con i nomi dei suoi precedessori e dei suoi "nemici" (Odoacre è la gallina che gli fa più uova), Odoacre pensa di rinunciare al potere per potersi dedicare esclusivamente ai suoi pennuti. Che sia nel pollaio il germe della saggezza?
Visto il 10-01-2010
al Politeama di Catanzaro (CZ)