“Il teatro attraverso la finzione da luce sulla realtà”
“Lo dici davvero o per finta?”
Che cosa significa essere personaggi ignari del proprio destino? Cosa vuol dire essere destinati dalla vicenda a finire ammazzati, pur nella più totale innocenza, solo perché secondari nella vita e nella finzione?
“Ronsencrantz e Guilenstern sono morti”, scritto da Tom Stoppard nel 1964, -adattato e messo in scena da Letizia Quintavalla e Bruno Stori al Teatro Sala Fontana di Milano - parla esattamente di questo.
L’”Amleto” è per tutti la vicenda di un giovane principe che vede morire il padre per mano dello zio Claudio, che diventa sovrano usurpando il trono e unendosi alla regina, madre di Amleto. Nessuno si sofferma a pensare alla storia di Ronsencrantz e Guilenstern, amici di infanzia del principe Amleto, che cercano di capire, su incarico del nuovo re, cosa si agiti nel suo animo dopo la morte del padre. Nella versione shakespeariana i due appaiono come spie in qualche modo – per quando ingenuamente – corrotte, descritte malamente dal principe che, dopo averli praticamente condannati a morte sostituendo la lettera che invece avrebbe dovuto condannare lui, arriva a dire:“Non sono vicini alla mia coscienza; la loro rovina/scaturisce dalla loro stessa perfida condotta".
Diversi sono i Ronsencrantz e Guilenstern (in scena: Stefano Braschi e Carlo Ottolini) descritti da Stoppard: due uomini sostanzialmente buoni e ingenui vittime di un destino a cui non sanno far fronte, ignari delle vicende che regolano l’andamento della storia, incaricati dal re Claudio di scoprire cosa agita Amleto senza ulteriori spiegazioni. In un gioco metateatrale - che vede in scena anche un capocomico (Franco Palmieri) di una non meglio definitiva compagnia di teatro – i due si interrogano, ragionano sul significato delle loro esistenze, sulle parole che sono l’unica cosa che li fa andare avanti, sul valore delle ipotesi. Si palleggiano domande, senza mai darsi risposte: le affermazioni sono il fallo del gioco, non si devono fare. Il capocomico è come un burattinaio, anche se non influisce direttamente nella vicenda: egli sa come si conclude il destino dei due malcapitati, anche perché conosce la regola fondamentale del teatro secondo la quale “il pubblico sa perfettamente cosa aspettarsi ed è solo a quello che è disposto a credere”. E il pubblico sa che Ronsencrantz e Guilenstern saranno impiccati, come ricordano i due cappi che pendono in scena fin dall’inizio. Un equilibrio di probabilità che può venir in ogni momento sconvolto: così come accade all’inizio quando, nel tiro della monetina, viene 100 e più volte testa. E così, alla fine, due innocenti finiscono al patibolo, con l’unica colpa di non aver saputo niente.
Tra vaneggiamenti, giochi e paure, Ronsencrantz e Guilenstern diventano emblemi della condizione umana, incerta e incomprensibile nelle sue motivazioni più profonde. Si sentono osservati, ma non sanno dire niente di più. Non sanno nulla di più.
Una messa in scena ambigua, quella di Quintavalla e Stori, che pare cogliere solo a tratti la profonda comicità tragica del testo di Stoppard, lasciando l’impressione che si potesse dire molto di più con quelle parole ripetute, quelle frasi spezzate, quelle battute cariche di un’ironia sottile e profondamente british (nelle note di regia si legge che, nonostante i tagli, ripetizioni e gags rimangono troppe, ma il testo di Stoppard gioca propri su ripetizioni, giochi di parole e misunderstandings!). Una messa in scena che però ha il merito enorme di portare in Italia e far conoscere al pubblico un autore troppo poco rappresentato.
Bravi gli attori, costretti ad interagire con differenti media, come il video - proiettato su un telone che forse è una vela o forse un sipario caduto - che riprende stralci del film realizzato dallo stesso Stoppard nel 1990.
Uno spettacolo giocato interamente sulla bravura degli attori, che apparato tecnico e scenografico non hanno supportato né aiutato nella loro interpretazione.
Uno spettacolo comunque da vedere, anche solo per ascoltare lo splendido testo, che con un’ironica genialità e una straordinaria leggerezza tratta uno dei temi più difficili da affrontare: la condizione umana assimilabile, a tratti, a quella di un personaggio costretto a subire, nella più assoluta ignoranza, il proprio destino.
"Ronsencrantz e Guilenstern sono morti"
visto il giorno 11 giugno 2009 al teatro Sala Fontana di Milano
in scena fino al 18 giugno
Visto il
al
Giacomo Leopardi
di San Ginesio
(MC)