Nulla a che vedere con il film. L'allestimento che Leo Muscato ha tradotto e diretto di "Rosencrantz e Guildenstern sono morti" ha veleggiato con decisione verso lidi autonomi. Del resto, il capolavoro di Tom Stoppard del 1964 detta i contorni comici della commedia, sollecitando esplicitamente ampia libertà interpretativa: non esiste un testo definitivo né sono finora state rappresentate due versioni identiche. La sua forza strabiliante è la vitalità insita nel concetto stesso di rinnovamento, di rinascita, di passaggio. "La morte può essere una nave? No, la morte non è". Questo non-essere, questa condizione di definitezza dell'indefinito, è divenuta ironica e straniante protagonista del titolo inaugurale del 67° Festival Skakespeariano a Verona.
Gli stralci shakespeariani hanno fatto il loro ingresso in scena annunciati dal "suono di flauti e tamburi" o trasportati sulle note di un giro di blues, per poi scomparire inghiottiti da una tenda. "Ogni uscita è un'entrata da un'altra parte, una compensazione". I protagonisti erano intenti a un viaggio che li ha visti sempre fermi nel medesimo posto. Anche il lavoro di Muscato non ha preso una direzione precisa ma si è orientato, con la sfumata leggerezza di variazioni di registro minimali, tra il teatro dell'assurdo riecheggiante Beckett (molti gli spunti da "Aspettando Godot") e lo spirito verace di una sceneggiata affidata a un'elisabettiana compagnia di guitti. Travestimenti, pantomime e collanti didascalici hanno sospinto in un ambito beckettianamente grottesco, che ha trovato culmine quando il capocomico (Gianfelice Imparato), nei panni di un improbabile Amleto, ha accennato il celebre monologo "Essere o non essere?" cingendolo di accenti partenopei surreali.
"Dio c'è?" L'atmosfera era destrutturata, ondeggiante tra i marosi ("La Tempesta") di una generosa dose di avanspettacolo e il desiderio, latente, di poesia. Un protendersi verso il lirismo senza averlo mai raggiunto, ma suggerito in modo subliminale e proprio per ciò teatralmente efficace, a giudicare dall'unanime consenso riscosso, che ha confermato l'affermazione di Stoppard secondo cui il pubblico, una faccia della moneta che sull'altro verso reca gli attori, crede a ciò che si aspetta. Bersaglio beckettiano centrato da Muscato. "Quale è il tuo nome?" La domanda finalmente è risuonata chiara, dopo un rimpallo di generalità tra Rosencrantz e Guildenstern (Vinicio Marchioni e Daniele Liotti, bravi alla sufficienza, molto affiatati) a sottolineare che non importa, chi sia chi. La vita, o indifferentemente la morte, è una partita a tennis in cui la pallina rimbalza all'uno o all'altro. Non resta che ridere.