A 63 anni Paolo Rossi sembra mostrare tutta la sua età e la sua stanchezza in questo Rossintesta. Non nei confronti del teatro, sia ben chiaro, ma nei confronti della vita che segna e forma i caratteri umani con il suo scorrere incessante di eventi.
La dipartita dell'amico di vecchia data Gianmaria Testa (prematuramente scomparso il 30 marzo scorso) sembra lasciare un vuoto profondo in questo spettacolo, riflesso dello spazio creatosi all'interno dell'anima dell'attore friulano.
Però non basta la capacità dei Virtuosi del Carso e la chitarra di Emanuele dall'Aquila per rendere splendido uno spettacolo che, almeno nelle intenzioni, punta ad esserlo.
Consci che questo sia un tributo all'amico ci si domanda se si potesse fare qualcosa di più per rendergli onore. Rispetto alla versione che prevedeva la presenza in scena di Gianmaria Testa (spettacolo prodotto nel 2004 da Fuorivia, rimasto in scena per quattro anni), questo sembra essere un allestimento "mutilato" e l'attore sembra portarsi dietro una forte sofferenza, che trasmette al pubblico.
La sua notoria verve comica appare stanca in questo spettacolo monco. Non è una questione di esecuzione, sia ben chiaro. Tutti sono al loro posto e l'esecuzione è perfetta. Il disegno luci racconta esattamente l'atmosfera descritta dalle canzoni.
Ma qualcosa non funziona nell'ingranaggio dello spettacolo. Il problema è l'energia.
Nella malinconia possono esserci un forte dinamismo e carica emtotiva volta all'elaborazione del lutto, ma in questo Rossintesta manca qualcosa, ovvero quello a cui l'attore ci ha abituato negli anni e che è ancora in grado di dare.
Inutile dire che lo aspettiamo nuovamente in ottima forma per un ulteriore tributo all'amico scomparso.