Prosa
ROSSO VIVO

Una drammaturgia zoppicante

Una drammaturgia zoppicante

Alla base di Rosso Vivo c'è  lo splendido Sia folgorante la fine (Rizzoli, Milano, 2010) scritto da Carla Verbano a quattro mani con Alessandro Capponi,  nel quale la madre di Valerio Verbano racconta il clima, le omissioni e il silenzio di Stato che hanno preceduto e seguito l'omicidio del suo unico figlio, quasi 19enne, militante di Autonomia operaia, il 22 febbraio 1980.

Da quel libro immenso, nel quale emerge la testimonianza squisitamente politica, nel senso più vero della parola, di una donna cui i fascisti hanno ucciso il figlio, in casa propria, mentre lei e suo marito erano legati nella stanza accanto, Alessandra Magrini ha tratto un esempio di buon teatro civile, o, se preferite, di teatro della memoria, un teatro cioè che non serve a intrattenere ma a non dimenticare, a informare e a mantenere alta la soglia critica in un periodo di neo-conformismo come il nostro.

Alessandra Magrini è un'attrice verace, da sempre allineata a un teatro politico e di denuncia e per restituire le parole di Carla la va a trovare, ne diventa amica, si fa consigliare da lei.

Rosso Vivo ha una sua prima incarnazione come reading, che ha visti coinvolti, oltre ai due autori del libro, anche i ragazzi della palestra popolare dedicata alla memoria di Valerio.

Il reading è introdotto da una ricostruzione scenica dell'omicidio ed è anche  alternato da alcuni video con materiali di repertorio, tra foto di Valerio e non, mentre A Great Gig in the Sky dei Pink Floyd, amatissimi da Valerio, fa da sottofondo. Magrini esplora il testo di Carla Verbano restituendone alcuni punti fermi: il desiderio della mamma di Valerio, che oggi ha 86 anni, di incontrare l'assassino di suo figlio; il rispetto per le morti di entrambi gli schieramenti, perchè il dolore dei genitori per la morte dei figli non ha colore politico, senza scadere mai nel qualunquismo però, anzi mantenendo un alto profilo politico nel modo di essere e ragionare però non nella propaganda. Dopo un anno di successi e di tournée lo spettacolo approda al suo secondo  step e da reading diventa spettacolo teatrale tout-court. L'impianto rimane lo stesso con l'unica grande differenza che adesso Alessandra Magrini invece di leggere va a memoria.

Purtroppo però la memoria non basta. Perchè adesso quei suggestivi cenni di drammaturgia che nel reading erano più che efficaci paiono disadorni  e non sufficienti.

Privo del sostegno del reading manca a Rosso vivo una vera e propria idea drammaturgica che sostenga la recitazione dell'interprete. Libera dal leggio e dalle carte del reading Magrini si muove sulla scena un po' spaesata e temendo che non basti presentarsi come personaggio monologante cerca sempre qualche cosa da fare. Cammina, si mette lo smalto alle unghie, sistema dei fiori finti in un vaso, si toglie le scarpe coi tacchi e si massaggia i piedi. Gesti esornativi che la distraggono dalla recitazione distraendo anche il pubblico che non può non notare l'impaccio con cui sistema i fiori senza una vera cura, si mette lo smalto senza una vera attenzione, compiendo dei gesti che, invece di suggerire la naturalezza del quotidiano dal quale Carla Verbano  emerge per parlare, sottolineano solo l'artificio di un espediente che non diventa mai vera drammaturgia.

Se Magrini in scena non sembra sempre del tutto focalizzata sul testo non dipende solamente da questi dettagli, dopo tutto non così importanti, ma da un impaccio dell'attrice  che non capiamo da cosa dipenda. Se da una memorizzazione non ancora sufficientemente allenata o dalle emozioni e dall'indignazione per i fatti che racconta che la sovrastano.

Fatto sta che in scena Magrini appare a tratti in impaccio, come in bilico su di un testo che non le riesce spontaneo dire, e che, invece di lasciarsi guidare dalla sua scrittura, che sa essere precisa e lucida, interpreta, glossa, modificandone dettagli, cercando il particolare semi pietistico, l'effetto quasi retorico, calcando sul dialetto romano degli assassini di Valerio, laddove invece il libro è asciutto e  spiazzante nella sua sincerità.
Un impaccio ondivago che spesso sparisce quando Magrini si scorda di stare in scena e smette di preoccuparsi di dover giustificare la sua presenza sul palco come personaggio e allora lo spettacolo vola, e le emozioni sono talmente intense che la sala si immerge in un silenzio tangibile.

Poi, così come ha volato alta, l'emozione ritorna a terra, sul palco, dove Magrini inciampa in un testo che non possiede ancora pienamente.
Eppure lo spettacolo stesso suggerisce le soluzioni da adottare, come il finale, efficace nella sua semplicità, quando Valerio entra in scena per abbassare la pistola che la madre sta puntando, fuori nel balcone della sua abitazione, a uno dei sospetti dell'omicidio i cui responsabili non sono stati trovati mai.

Mentre ripetitivi e poco incisivi ci sembrano i siparietti di Valerio che, dietro una tenda, agisce nella sua stanza, proiettando un ombra su un telo nero che funge da parete (vale davvero la pena di scomodare una persona in carne ed ossa?).

La mancanze di una drammaturgia ancora da trovare non inficiano però minimamente  le ragioni, né il merito,  per cui Magrini sale ogni sera sul palco a raccontare una storia che troppi vorrebbero dimenticata e che invece ancora oggi, a più di 30 anni da quel 22 febbraio, amici e compagni non dimenticano tributando un omaggio alla memoria di Valerio. Una storia del nostro passato recente che dovrebbe essere studiata a scuola dove la visione di questo spettacolo non potrebbe che fare bene.
Perchè Rosso Vivo contribuisce a mantenere viva la nostra memoria e va dunque visto, rivisto, diffuso, sostenuto e difeso, anche dai suoi stessi limiti.

Visto il 14-02-2012
al Garbatella di Roma (RM)