Dal nulla per ripetersi in eterno. Veloce. Impercettibile al sesso maschile. Lontano dalla ragione. Così si presenta il dolore, l’ isteria, la ricerca di felicità ormai persa, l’ angoscia, il travaglio interno di un’ anima delle tre protagoniste di Rumore Rosa. Tre donne, stralcio della stessa anima, affogano nel bruciore provocato dall’ Amore ormai abbandonato.
Lo sfogo, presente in una crisi, si manifesta in questa manifestazione dei Motus attraverso le parole espresse da un nastro, attraverso la plasticità di une delle protagoniste che “scaraventa” il suo corpo
contro il pavimento e soprattutto attraverso il mezzo più in uso tra le donne, e non solo: la telefonata. Difatti in quest’ ultima si trova la ragione di essere del dolore, vale a dire il trovare conforto nell’ altro, vuoi che sia un’ amica, vuoi che sia tua madre.
La scenografa di quest’ opera si presenta in maniera del tutto poco usuale; all’ inizio è mostrata uno studio di posa, anche se con i teli bianchi, e il ventilatore e la musica lenta sotto, sembra richiamare la Tempesta di Shakespeare; dopo di che, a secondo della collocazione spaziale delle singole donne venivano proposte su un fondale bianco delle immagini che rapportavano l’ attore allo spazio scenico, come ad esempio nella parte iniziale una delle tre donne parla al telefono, sembrerebbe una cosa normale, ma non ha il telefono in mano, né è nei suoi pressi, si capisce che è nel mentre di una telefonata dacché sullo sfondo bianco appare una strada e poi una cabina telefonica. In poche parole il gioco scenografico espresso in questo lavoro risiede nell’ eliminazione quasi totale della scenografia tridimensionale per una scenografia digitale.
Più che assistere ad una messa in scena teatrale pare di sfogliare delle pagine di un romanzo.
Visto il
al
Donizetti
di Bergamo
(BG)