Rusalka, penultima opera di Antonìn Dvořák composta all’apice della sua carriera, è, insieme alla Sposa venduta di Bedřich Smetana, l’opera ceca di maggior successo. Momenti altamente drammatici, effusioni liriche e melodie della tradizione popolare slava si innestano in un ricco tessuto sinfonico che fonde elementi classici a estetica wagneriana. Rusalka, spirito dell’acqua che per amore di un principe aspira a sembianze umane con tragico epilogo, è l’essenza della mitologia slava e il libretto, scritto da Jaroslav Kvapil e basato su fiabe popolari, è particolarmente poetico.
L'Opera di Roma ha vissuto nelle scorse settimane momenti di grande tumulto: l'abbandono di Riccardo Muti, l'avvio della procedura di licenziamento di orchestra e coro, la sostituzione dell'opera inaugurale prevista, la popolarissima Aida, con la meno conosciuta Rusalka, l'accordo raggiunto con i dipendenti e la revoca dell'esternalizzazione delle masse artistiche. Tutto lasciava dubitare: e invece il pubblico ha assistito a uno spettacolo bellissimo, suonato a cantato in modo eccellente.
La nuova produzione ha visto impegnato Denis Krief in regia, scene, costumi e luci con un risultato di forte impatto emotivo, alla cui base pone l'idea che la fiaba segni il passaggio dall'adolescenza al mondo degli adulti con la conseguente scoperta dell'amore: Rusalka all'inizio è addormentata in proscenio circondata da bambole e giocattoli e vestita di bianco candido; tutto sarà poi chiuso dentro un baule che però resta sempre in scena, a ricordare la fanciullezza e un mondo forse perduto ma rintracciabile nell'anima.
La scena è unica, una stanza foderata di assi di legno grezzo e priva di aperture (si entra principalmente da botole nel pavimento o per mezzo di porte invisibili ai lati), un ambiente chiuso e claustrofobico che resta tale anche quando siamo nel mondo degli umani con le colonne stilizzate del palazzo del principe (sempre di legno) e la luce che irrompe dai lati creando lunghe ombre e rigide geometrie. Dall'alto scendono la facciata della casetta di Jezibaba oppure due elementi a simbolizzare il canneto e il lago, una lama metallica che rimanda bagliori subacquei. Le ninfe giocano con veli a simulare l'acqua e la distanza dal mondo degli umani.
I costumi, perfetti e bellissimi, sono contemporanei ma cedono anche al un passato in un amalgama di grande fascino particolarmente azzeccato. Da sottolineare le luci, capaci di inondare le pareti di legno chiaro con colori primari (principalmente verde e rosso) come anche di incidere sul senso e sulla forza delle scene: indimenticabile la festa a casa del principe con le ombre dei presenti che si allungano confondendo nel gruppo indistinto persone e ombre.
Insomma un allestimento che porta avanti in modo coerente e comprensibile l'idea del regista strutturata su pochi ma evidenti e utili simboli.
Svetla Vassileva è una Rusalka che non lascia indifferenti, malinconica e dolente nel suo sentirsi fuori posto e senza voce, fisicamente ideale per il viso d’innocente bellezza, i capelli neri e la pelle bianca: la Ninfa rischia tutta la sua infanzia, il presente, il passato e il futuro per un desiderio d'amore che non si realizzerà; il soprano emerge per doti sceniche e intensità interpretativa: seppure la voce non sia particolarmente grande, viene piegata con grande musicalità ai fini espressivi e le doti di fraseggio sono eccellenti; l’intensità sul palco è supportata da una voce di bel colore pienamente espressiva e ben modulata che le consente di risolvere con sicurezza la difficile tessitura nonostante risulti non grande nei passaggi medio-gravi. Maksim Aksenov ha le physique du role del Principe e se ne apprezzano le intenzioni stilistiche e il canto curato; il tenore spicca per bellezza timbrica e pulizia, per convincente e appropriata presenza scenica e per un canto ormai maturo che non ha censura alcuna. Steven Humes dona voce autorevole a Vodnìk, disegnato come un padre amorevole di cui fa scaturire l’intensa umanità. Larissa Diadkova è una Jezibaba di spiccata personalità e bel timbro scuro, tratteggiata come una madre paziente che lavora a maglia. Michelle Breedt è una Principessa dalle movenze prepotenti e un poco mascoline, esaltate dall'indossare lo stesso abito del Principe ma di colore rosso: risulta particolarmente doloroso il confronto tra la Rusalka silenziosa ma dolce e innamorata e la Principessa loquace, prepotente e insensibile. Bene il Guardacaccia di Igor Gnidii e lo Sguattero di Eva Liebau (che consentono qualche momento di ilarità), come anche il Cacciatore di Antonello Ceron. Particolarmente adatte al ruolo le tre Ninfe del bosco, Anna Gorbachyova, Federica Giansanti e Hannah Esther Minutillo che muovono flessuosamente le braccia. Perfetto il coro del teatro dell'Opera preparato da Roberto Gabbiani. Adeguati i danzatori del corpo di ballo del teatro dell'Opera che hanno eseguito una coreografia di Denys Ganio.
Ottima la direzione di Eivind Gullberg Jensen che imprime grande tensione alla partitura mettendone in rilievo la modernità e il suo essere di transizione fra Wagner e Strauss, facendone scaturire il dramma senza indulgere in un facile melodico, trovando brio trascinante nei momenti di folklore dal temperamento slavo. Dunque uno dei punti di forza dell’allestimento è proprio la direzione del giovane norvegese che ricrea con una straordinaria idiomaticità la giusta atmosfera che serve allo spettacolo di Denis Krief: la lancinante dolcezza propria della musica slava s’innesta in un tessuto drammatico contrastato e denso di chiaroscuri a segnare il dolore della scoperta dell'amore o meglio della sua irrealizzabilità terrena. Un plauso all’orchestra per aver saputo seguire le intenzioni del direttore creando un suono di grande levatura: nei molti momenti sinfonici in cui il regista lascia il palco vuoto le note si distendono riempiendo ogni spazio.
Ottima accoglienza da parte di un pubblico numeroso e composto in buona parte, nel nostro settore, da giovanissimi educati e attenti. Spettacolo da vedere.