Alcune donne, schierate sul palcoscenico, fungono da una sorta di sipario-umano, nell’indifferenza del pubblico intento a cercare il posto o raccontarsi le ultime novità. Poi, quando l’attenzione è ravvivata dall’imbarazzo per quella presenza muta e immobile, il sipario-umano si arrotola su se stesso, le donne scivolano dietro le quinte mentre il buio invade la sala ed Eleonora Danco occupa da sola un palcoscenico senza scena, riempito solo da della sabbia.
Così inizia Sabbie, l’intenso atto unico di e con Eleonora Danco (che ha visto numerose repliche, associato all’altro suo atto unico Nessuno ci guarda al Teatro Franco Parenti di Milano, al Teatro Studio di Scandicci, e, quest’anno, al Teatro Palladium di Roma), scritto anni fa per Garofano Verde e ora riproposto nella 15ma edizione della Rassegna di Teatro Omosessuale, che offre, accanto ad alcuni spettacoli nuovi, un florilegio dei testi prodotti per le passate edizioni.
Lo spettacolo inanella diverse interviste audio (compresa quella di una figlia che chiede al padre cosa pensa sia l’omosessualità e se ha mai avuto fantasie gay...) a ragazzi e ragazze, che raccontano i problemi contingenti legati alla propria omosessualità ad altrettanti personaggi, uomini e donne, tutti interpretati da Eleonora, che parlando tra sé, o interagendo con un partner, un amico, qualcuno, rivelano morbosità, fissazioni, sogni e necessità di una sessualità diversamente vissuta, difficilmente incasellabile nella semplificazione omo-etero cui la società cerca da sempre di relegare il poliformismo sessuale che ci contraddistingue tutti come ricorda Eleonora stessa: «Francamente non sopporto la definizione che di solito viene usata: "accettiamo i diversi". Siamo tutti diversi, ognuno nella propria sessualità. Il problema, semmai, è accettare la sessualità con tutti i suoi conflitti»1.
Così dal monologo interiore di un personaggio femminile intuiamo come il sesso lesbico sia l’imprescindibile esigenza di (ri)conoscere il proprio corpo di donna, mentre un ragazzo che vuole avere un rapporto anale con la sua ragazza si sente dare del frocio (e ammette, più a se stesso che a lei, di aver fatto sesso con due uomini, ma solo per soldi) mentre un padre di famiglia impazzisce di voglia per i giovani adolescenti e una figlia lesbica piange mentre prova per la prima volta a comunicare con sua madre.
Personaggi che restano immersi in una semioscurità continua, dalla quale emergono prepotenti le voci mentre dei loro corpi (cioè del corpo di Eleonora, che accenna dei veloci cambi d’abito nella penombra della scena, coadiuvata da alcune delle ragazze che fungevano da “sipario”) restano guizzi, movimenti, gesti di un ininterrotto flusso di coscienza del quale il testo si fa preciso testimone.
Non uno spettacolo di monologhi ma un vero e brulicante coro che Eleonora riesce a interpretare, a saper veder bene, con intelligenza. Eleonora non si affida infatti alla variazione della voce, al dialetto (quello romano) o al linguaggio del corpo per distinguere i vari personaggi, piuttosto, di volta in volta, è come se il suo corpo fosse posseduto dai singoli personaggi i quali, invasandola, compiono, ignari, uno scempio del suo corpo di attrice e di donna (dal temperamento sanguigno e nervoso, in sala Eleonora interrompe uno dei monologhi per precipitarsi dietro le quinte e sgridare una delle attrici che la aiutano nei cambi d'abito con un funereo "se fai rumore ti ammazzo", mentre non esita a riprendere chi, maleducatamente, in sala, durante uno dei cambi d'abito, parla), glorificando la maestria dell’autrice.
Una partitura musicale più che una serie di monologhi quelli di Eleonora Danco che vanno eseguiti con una precisione che non ammette distrazioni, la personalità di ognuno dei personaggi si esprime infatti attraverso le pause, le esitazioni, gli scarti sintattici di un parlare che non è mai letteratura ma, perdonate la retorica, vita. Uomini, donne, adolescenti non escono mai dalla loro condizione, la vivono, la subiscono, come disegni sulla sabbia svaniscono ingoiati da loro stessi. Non esistono più, come recita il programma di sala.
Eleonora Danco rappresenta un’anomalia nel panorama italiano, sempre parco di autrici-scrittici per il teatro ed Eleonora scrittrice lo è davvero (cfr. la sua biografia nella recensione in questo sito del suo spettacolo Me vojo sarva’). Non si limita a cucirsi addosso spettacoli sul proprio corpo d’attrice, ma sa disegnare con il suo teatro di parola, un universo di personaggi coerente e autonomo. Il teatro di Eleonora è un teatro fatto di personaggi, i quali, per sua stessa ammissione, vengono astratti fino a diventare dei soggetti poetici, persone qualunque colte nella loro essenza, a volte coscienti di sé, molto spesso meno, e dunque presenti solo agli spettatori cui compaiono dinanzi che diventano, loro malgrado, testimoni di esistenze che altrimenti si dipanerebbero nell’indifferenza del civile consesso. Egoisti e maniacali, eroinomani o dipendenti dal sesso, monotematici nelle loro aspirazioni e manie di grandezza, i personaggi di Eleonora si parlano addosso, annullandosi in una voce che fa del corpo da cui proviene un’assenza che diventa una bruciante denuncia, una denuncia delle ipocrisie della società di cui facciamo tutti parte. Perché ad emarginare le persone che Eleonora porta in scena siamo noi, tutti noi benpensanti.
Prosa
SABBIA
Alcune donne, schierate sul p…
Visto il
al
Belli
di Roma
(RM)