La recensione di Francesco Rapaccioni
Roma, teatro Costanzi, “Salome” di Richard Strauss
DOPPIA SALOME
La stagione del teatro dell'Opera di Roma si è aperta con Salome di Strauss, preceduta da un prologo tratto da Oscar Wilde, traduzione e drammaturgia di Giorgio Albertazzi, regista dello spettacolo. Prologo del tutto inutile, che nulla aggiunge e nulla approfondisce, perchè quanto viene letto da Anita Bartolucci (Erodiade) e Sergio Romano (Erode) davanti a un fondale dipinto altro non è che alcuni passi del testo che poi, integralmente, verrà cantato. La voce off del Battista è dello stesso Albertazzi; il ruolo di Salome è affidato a una Maruska Albertazzi imbarazzante per le capacità recitative, mentre il suo nudo di pochi secondi è un non-nudo, con i seni al vento e il resto coperto da calze color carne.
Pochi giorni fa, guidando in macchina lungo la “strada dei re” in Giordania, ho intravisto all'orizzonte la fortezza di Mukavir (Macheronte), dove si suppone abbia avuto luogo la vicenda e, delle suggestioni di quei luoghi e delle memorie storiche, qui non c'è nulla. Lo spettacolo è freddo e poco coinvolgente. La scenografia di Lorenzo Fonda è misera, limitata a un doppio piano collegato da una scalea, sopra quattro fusti di colonne bianche in scorcio prospettico, sotto un rudere di edificio (ma perchè bisogna ambientarla nelle rovine archeologiche? All'epoca tali strutture erano nel massimo dello splendore). Per non dire dell'enorme testone che si rovescia sul palco nella scena finale, sul quale la povera Salome è costretta ad arrampicarsi come un granchio su uno scoglio. I costumi di Elena Mannini non migliorano l'effetto. Albertazzi è il grande attore di teatro che tutti conosciamo. Evidentemente non è ancora a suo agio nella regia lirica, dimostrando di non saper muovere in modo convincente i cantanti. La sua è una regia convenzionale, se non inesistente.
Francesca Patanè, nel ruolo del titolo, rivela un buon rapporto tra vocalità ed attorialità, è capace di gestire la scena ed attirare su di sé l'attenzione di un pubblico numerosissimo (la recita a cui ho assistito era esaurita). All'inizio la voce non è al massimo, ma nella seconda parte dell'unico atto raggiunge un ottimo controllo dei registri con un'agevole salita all'acuto e una decisa presenza del grave, delineando compiutamente il passaggio da capricciosa ragazzina a mostro scellerato. La danza dei sette veli (qui, si sa, la musica di Strauss è così bella..) è affrontata dalla Patanè senza difficoltà, anche se sono poco comprensibili dal punto di vista registico la scelta di eliminare la presenza di “spettatori” nel palazzo di Erode (la danza è eseguita solo per Erode, Erodiade e i cinque ebrei), dal punto di vista coreografico la scelta di Gabriella Borni di incentrare la parte finale su movimenti robotici che ricordano tante Olympia dei Contes d'Hoffmann. Ottima la pronuncia del tedesco.
Reiner Goldberg è un Erode credibile e mai caricaturale, dotato di voce potente e controllata. Non di pari livello il resto del cast. Annoshah Golesorkhi è un Giovanni poco incisivo, Graciela Araya una Erodiade in difficoltà soprattutto nel registro alto, Mario Zeffiri un Narraboth non adeguato.
Convincente Gunter Neuhold, arrivato all'ultimo minuto dopo il forfait per motivi di salute di Alain Lombard: la sua direzione orchestrale non è omogenea in tutto lo spettacolo ma nei momenti salienti è ben curata e l'orchestra risponde alla perfezione.
Visto a Roma, teatro Costanzi, il 20 gennaio 2007
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Costanzi - Teatro dell'Opera
di Roma
(RM)