Lirica
SALOMè

La “Salome” rivista da Gabriele Lavia ripete il suo successo a Bologna

Salome
Salome © Andrea Ranzi

E' come un evergreen questa Salome di Richard Strauss dove fa ora trionfale ritorno al Comunale di Bologna. Uno spettacolo firmato da Gabriele Lavia.

E' come un evergreen, questa Salome di Richard Strauss che nel 2010-2011 venne coprodotta dal Teatro Comunale di Bologna – dove fa ora trionfale ritorno – e dal Teatro Verdi di Trieste. Uno spettacolo firmato da Gabriele Lavia ed ora ripreso da Gianni Marras, fra i più belli di questi ultimi tempi, che suscita un fatale coinvolgimento procedendo – tra grumi di stravolgenti emozioni - in perfetta sincronia con lo scorrere della musica. Grande uomo di teatro, Lavia tratta gli interpreti più quali attori che cantanti, alla ricerca della massima espressività scenica, e il risultato ben si vede.

Asseconda il bellissimo testo di Lachmann/Wilde senza eluderne i punti scabrosi, senza stravolgerne il senso interiore, senza mai cadere nel kitsch: trova anzi sapidi guizzi inventivi – come la luna che cede il posto ad una smisurata ascia bipenne – all'interno d'una tesissima curva narrativa che prende e lascia senza fiato lo spettatore. Allo scenografo Alessandro Camera son chiesti pochi, ma preganti tratti visivi: una pedana rossa digradante verso la cisterna in cui giace il Battista – lo vediamo imprigionato come un animale nella gabbia calata dall'alto – e che alla fine si frantumerà facendo emergere un'immensa testa pietrificata. A Daniele Naldi il compito di trovare luci notturne ed inquietanti; ad Andrea Viotti di delineare abiti che ci trasportano ai tempi della prima dresdense. I movimenti coreografici stavolta si debbono a Daniele Palumbo.


Direzione puntuale e trascinante

La direzione di Juray Valčuha non è solamente tesa e puntuale, ma sopra tutto uno straordinario modello di teatralità per la sua ferrigna tensione nervosa, per gli scatti brucianti, per la trascinante intensità, per la lucida attenzione alla diversificazione dei piani sonori, per l'esaltazione della doviziosa strumentazione straussiana. Tanto che la convulsa Danza dei sette veli, sostenuta da un'orchestra in stato di grazia e condotta alternanza di baluginii lunari e fiamme di deviato erotismo, varrebbe da sola un viaggio. Se n'è ben accorto il pubblico felsineo, che ha tributato al maestro slovacco caldi ed ampi consensi.


Ecco la femme fatale

Naturalmente, è indispensabile un'interprete consona al ruolo del titolo; ed Elisabet Strid – chiamata a sostituire all'ultimo Manuela Uhl – tale sembra, senza ombra di dubbio. Non a caso, dopo aver da poco interpretato Salome in Israele, ora la sta sostenendo con successo a Lipsia. Canto che pare una colata di lava, e che proietta suoni a volontà, oltre la massiccia orchestra, reggendo senza sforzo le lunghe arcate vocali della defatigante performance. Ma subito pronto, quando serve, a ripiegarsi svelto quasi nel sussurro. Scenicamente, per di più, il soprano svedese restituisce tutto quel groviglio di devianza psicotica e di febbrile, incosciente lussuria, con una mobilità frenetica che culmina nella fatidica Danza prima, e nell'allucinato dialogo con il capo di Jochanaan poi.

Ian Storey è un Herodes esemplare: insinuante, esaltato e lascivo, è sostenuto da grande musicalità, e da una energia attoriale sensazionale. In scena l'affianca con consumato mestiere la Herodias di Lioba Braun. Il profetico carattere di Jochanaan trova idoneo risalto nella vocalità possente, espressiva, carica di sinistri bagliori metallici di Sebastian Holecek; il travaglio di Narraboth è ben reso da Enrico Casari, il Paggio è Silvia Regazzo. I cinque litigiosi giudei sono Gregory Bonfatti, Pietro Picone, Antonio Feltracco, Paolo Antognetti e Abraham Garcia Gonzaléz. L'uomo della Cappadocia, Francesco Leone; i due Nazzareni, Riccoardo Fioratti e Stefano Consolini; i due soldati, Gabriele Ribis e Luca Gallo.

Visto il 16-02-2019
al Comunale - Sala Bibiena di Bologna (BO)