Salome è un’opera in un atto scritta da Richard Strauss su libretto di Hedwig Lachmann tratto dall’omonimo poema di Oscar Wilde. Fu rappresentata per la prima volta il 9 dicembre 1905 alla Hofoper di Dresda, raccogliendo grande successo, ma destando anche scalpore e scandalo per i suoi contenuti. Salome è una delle opere del Novecento più rappresentate: il contrasto di sentimenti che la permea, nonché la costante tensione musicale, sono aspetti che si riversano inevitabilmente nell’espressività contemporanea.
Il nuovo allestimento dell’opera porta la regia di Manfred Schweigkofler ed è il seguito del progetto che il regista e il teatro di Bolzano hanno portato a Modena lo scorso anno con Elektra dello stesso compositore. Schweigkofler è un regista moderno, che imposta tendenzialmente i suoi allestimenti in una visione contemporanea del testo drammaturgico. Le sue regie affascinano per la raffinatezza delle idee; la sua non è mai una sterile attualizzazione, di cui purtroppo i teatri d’opera sono pieni, ma è far emergere ciò che l’opera realmente dice al pubblico contemporaneo in un contesto dove non compare minimamente nessuna sciatteria espressiva, ma ogni particolare viene fisicamente elevato al bello. Salome conserva, in tutta la sua attualità, la forza descrittiva delle peggiori debolezze umane. Il nuovo allestimento sposta, come abbiamo già detto, l’ambientazione originaria (la reggia di Erode a Gerusalemme) al giorno d’oggi, da qualche parte nel caldo Sud, in una macchia di terra non del tutto irrilevante dal punto di vista politico. Il potente, ricco, isterico, lussurioso sovrano ha nuovamente organizzato uno dei suoi festini nella piscina della sua villa e tutti sono arrivati: uomini d'affari, politici, ecc. Schweigkofler parte proprio da qui per costruire questa vicenda drammatica, scabrosa e trasgressiva. Erode, sempre più assetato di potere, è circondato da ragazzine che soddisfano i suoi appetiti sessuali: il suo comportamento mina i principi fondanti dello Stato e di conseguenza giungono da più parti voci che invocano una nuova coscienza e chiedono un ristabilimento di più consoni atteggiamenti morali e politici. Dall’altra parte Salome è un'adolescente euforica, nevrotica, sbarazzina, iperattiva, agghiacciante ibrido tra donna e bambina, isterica e disadattata, a cui il sovrano promette qualsiasi cosa. Pur di possederla è disposto a cedere anche la metà del proprio potere e delle proprie ricchezze, mettendo a repentaglio non solo il suo matrimonio ma anche lo Stato. Erode assiste alla famosa danza dei sette veli, trasformata in una ben più attuale lap dance, tra la schiuma di una vasca, riportandoci a cronache tristi, ma dense di humor nero, della nostra attualità. Così s’innesca la tragedia che superando la vicenda biblica finisce per illustrare la pura cronaca quotidiana. Nel mondo dominato dalla corruzione, si leva una debole voce che esorta un cambio di coscienza e una conversione morale, ma il moralizzatore pagherà con la sua vita: Giovanni Battista, o come Wilde lo chiama, Jochanaan!
Una lettura veramente avvincente e ottimamente rappresentata, grazie anche alle scene di Walter Schütze, ai costumi di Kathrin Dorigo e alle luci Claudio Schmid, in cui emerge insistente il colore bianco lunare, pretesto di castità necessario ad equilibrare il torbido dell'oscuro mentale: dal vestito di Salome inondato di luce ai satelliti di neon che punteggiano una scena invasa dai grigi metalli, ninnoli argentati della corte di Erode. Le scene sebbene costrette tra platea ed orchestra, si sono rivelate vincenti, grazie anche ad un uso innovativo, ma sempre ben azzeccato, delle luci di scene.
Buono il cast, che ha saputo rendere in modo eccellente il binomio voce – recitazione. Brava Cristina Baggio nel ruolo del titolo; è riuscita a scavare nella psicologia del personaggio, rendendo una Salome più che convincente, tormentata e fragile; la sua personalità non ha però influito negativamente nella bella voce solida, con acuti perfetti e ben modulati. Anche il tenore statunitense Scott MacAllister, in Herodes, si è rivelato molto adatto alla parte, la sua voce sicura e ben modulata, è riuscita egregiamente a delineare il ruolo psicologico del re. Anna Maria Chiuri è stata una convincente Herodias, con voce elegante. Il Jochanaan di Samuel Youn ha rivelato una densità e una profondità non comune, realizzando un personaggio veramente credibile e vocalmente più che accettabile. Convincono il Narraboth di Harrie van der Pals e gli Ebrei impersonati da Michael Scott, Rouwen Huther, Ulfried Haselsteiner, Giorgio Misseri, Patrick Simper. Ricordiamo positivamente anche il Paggio di Jelena Bodrazic, i Nazareni interpretati da Kristof Klorek e Riccardo Botta, i Soldati da Roman Ialcic e Jakob Christian Zethner, l’ Uomo della Cappadocia di Vito Maria Brunetti e lo Schiavo di Martina Bortolotti.
La corposa partitura concepita da Strauss ha visto schierate sull’intero palcoscenico, disposte dietro ad un velo nero, due orchestre - la Haydn di Bolzano e Trento e l’Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna - per un organico complessivo di oltre cento elementi, guidate dal maestro Niksa Bareza, secondo l’originale raffinatezza straussiana. La direzione di Bareza, direttore del Mexico National Opera, ci è sembrata un po’ troppo monocroma e un tantino poco attenta al dettaglio straussiano.
Un spettacolo bello e dignitoso, applaudito ed apprezzato dal pubblico modenese che ha affrontato la tormenta di neve per giungere al teatro.