Torino, teatro Regio, “Salome” di Richard Strauss
SALOME NELLA CASSAFORTE
Alla prima rappresentazione a Dresda nel 1905 Salome suscitò scandalo e irritazione nel pubblico e nella critica per il soggetto sadico e perverso e per il violento erotismo emanato dalla musica. Geniale continuatore del dramma wagneriano in chiave moderna, Strauss ne esaspera la tecnica strumentale sino a farne la vera protagonista dell'opera, tanto che Salome può essere definita un poema sinfonico drammatizzato. Il suo tessuto musicale è strettamente tematico, ma il leitmotiv wagneriano acquista nuovi aspetti: temi, spesso brevi, violenti e insinuanti, mistici e ironici, che passano da strumento a strumento in un denso impasto dai colori accesi ed aggressivi. L'acmè è raggiunta nella cosiddetta “danza dei sette veli”, un crescendo ossessivo e frenetico che sintetizza tutti i principali motivi del dramma.
La prima rappresentazione italiana di Salome è stata data nel 1906 al Regio di Torino, dove si è vista la geniale rivisitazione di Robert Carsen che la ambienta nel caveau di un casinò (scene Radu Boruzescu, costumi Miruna Boruzescu, coreografia Philippe Giraudeau, luci Manfred Voss, video Dario Cioni). Su un grande videowall scorrono immagini esterne ed interne delle sale del casinò che gli addetti alla sicurezza controllano: croupier, giocatori, camerieri e cameriere vestiti da antichi romani o egizi, evidentemente il “tema” del casinò ed il richiamo alla vicenda. Narraboth è un poliziotto e contempla Salome sul video. La voce di Jochanaan risuona, anziché da una cisterna, dalla cassaforte. Il luogo è immenso ma claustrofobico, altissime pareti di cassette di sicurezza, una scala che scende dai piani superiori dove è situata la sala da gioco.
L'arrivo di Jochanaan scardina il sistema, la parete di fondo si apre su un deserto rosso di dune sabbiose, da cui il profeta avanza come un'apparizione, in turbante e mantello orientale; davanti a lui Salome cade in ginocchio, stregata, gli striscia dietro, supplicandolo di baciarla. Quando Jochanaan rientra nel profondo della prigione la parete si richiude e tutto torna come prima. I due mondi sono lontanissimi: i protagonisti vivono nell'avidità rapace, nella brama di “avere”, Jochanaan parla al cuore, vuole un mondo basato sull'”essere”.
Salome è una ragazza viziata, veste pantacollant neri, scarponi e maglietta. Si siede sul bancone della security e dondola le gambe. Erode, Erodiade e i loro laidi cortigiani sono figure grottesche, deformate, come nei cabaret dell'espressionismo (Weill, Berg, Hindemith), drag queen, uomini e donne anziani, tutti malati per il gioco d'azzardo e le deviazioni sessuali, alcolisti e tossicodipendenti, a cominciare da Erodiade che vistosamente sniffa cocaina. In questo ambiente è cresciuta Salome. Il momento apicale è ovviamente quello della danza. Salome va a cambiarsi, torna uguale alla madre, vestito, gioielli, scarpe e parrucca, un clone, anzi l'identificazione della figlia con la madre. Salome si muove ad ampie falcate sugli altissimi tacchi dorati. Alza il vestito di paillettes sulle cosce nude. Spalanca le gambe e si rotola con voluttà sul pavimento. Erode è un maniaco, tutto infoiato, e riprende con una telecamere la scena, proiettandola sui videowall. Ingigantito, il volto di Salome rivela il trucco sfatto, il rossetto sbafato, gli occhi cerchiati. Vengono rivelati senza pudore i dettagli sexy della danza. Il climax contagia i presenti e sette vecchiacci con i lineamenti alterati dal trucco, quasi clownesco, si denudano completamente, il cervello annebbiato, svaporato. E Salome bacia sulla bocca Erodiade.
Salome vuole la testa di Jochanaan, Erode offre tutte le ricchezze possibili: alcune cassette di sicurezza si spalancano e riversano a terra una pioggia d'oro che ricopre il pavimento. Ma Salome è decisa: la testa del profeta è fra le mani insanguinate dei cortigiani (tutti sono responsabili della situazione e di quel sistema di vita, di quel mondo, tutti hanno contribuito all'uccisione del profeta). La testa viene usata come una palla per un gioco macabro tra i cortigiani, prima che Salome la prenda con sé e, stringendola tra le braccia, si avvii a piedi nel deserto illuminato da una luce livida. La parete si richiude, siamo di nuovo nel caveau. Erode grida “Si uccida quella donna” e i cortigiani accerchiano Erodiade, l'infame sovrana coinvolta in una nuova identificazione, stavolta della madre con la figlia. E ci sta, Strauss non specifica se “quella donna” è Salome o Erodiade.
Lise Linstrom è una Salome perfetta per le scelte registiche: è come Lolita, una ragazzina viziata, cresciuta in un ambiente corrotto e depravato, popolato da esseri avidi, sola e senza capacità di gestire le pulsioni erotiche e sentimentali. La voce a volte è acerba, come di bimba; a volte carica di sensualità, come di maliarda esperta; sempre adeguata per volume ed estensione. Peter Bronder è un Erode efficacissimo, piccolo e mobilissimo sui suoi stivaletti texani col tacco. Graciela Araya è vocalmente una Erodiade meno convincente, il personaggio è in competizione con Salome, risucchiata dal gorgo sociale in cui è inserita, fino ad esserne alla fine la vittima. Peteris Eglitis è il carismatico Jochanaan, Bruno Ribeiro un Narraboth pazzo d'amore, che ha occhi solo per Salome.
La direzione di Gianandrea Noseda segue alla perfezione le scelte registiche e di meglio non poteva fare: la musica crea una tensione continua, insostenibile; il suono è palpitante, compatto, spigoloso, vengono esaltati i momenti aspri e quelli sensuali con una intelligenza notevole.
Pubblico attento, incuriosito dall'allestimento. Durante la danza dei sette veli qualcuno ha gridato “che schifo”, ma il vero schifo è la realtà fotografata con lucidità da Carsen. Alla fine applausi con qualche dissenso per regia e allestimento. Da segnalare che il debutto è avvenuto due giorni dopo la prima della Elektra al Comunale di Firenze: onore a Carsen.
Visto a Torino, teatro Regio, il 1° marzo 2008
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Regio
di Torino
(TO)