Lirica
SAMSON ET DALILA

Bologna, teatro Comunale, “Sa…

Bologna, teatro Comunale, “Sa…
Bologna, teatro Comunale, “Samson et Dalila” di Camille Saint-Saëns TRAGEDIA BIBLICA CON LIETO FINE Rappresentato a Weimar nel 1877 per interessamento di Liszt, il “Samson” si basa su un soggetto antico e serioso ed oscilla fra l’esotismo e la moda neogreca diffusa dal Secondo Impero, mantenendosi ancorato allo schema del grand-opéra. Michal Znaniecki, polacco di studi italiani, anzi bolognesi, toglie i riferimenti di spazio e di tempo e lo ambienta in uno spazio claustrofobico marmoreo che vagamente ricorda Terragni e la sua Casa del fascio a Como (scene di Tiziano Santi). All’inizio l’impressione è di essere negli anni Trenta per i costumi grigi degli ebrei che calzano anfibi, ma l’arrivo di Abimelech e soprattutto delle filistee rivela una decontestualizzazione, evocando Guerre stellari (il Gran Sacerdote) e le Mille e una notte (Dalila, i cui costumi sono belli quanto brutti sono quelli delle filistee, con enormi cipolle in testa che mi hanno ricordato la divertente “Italiana in Algeri” di Dario Fo). Eliminati gli stereotipi storici, il regista si concentra sulle vicende di un uomo e una donna, ma cede a banalità. Samson entra in scena incappucciato, come se i capelli fossero un’arma impropria e segreta. Gli ebrei si appropriano della memoria perduta e calpestata recuperando libri e torah mezze bruciacchiate (i sacri rotoli vengono maneggiati senza alcuna cura, contrariamente ai rigidissimi precetti religiosi). Una colomba bianca è in gabbia. Vengono disegnate menorah coi gessetti sui muri; lance si sollevano in aria, come nel libretto. Invece Abimelech è strangolato da Samson ed attaccato al muro, da cui penzola poi come un manichino fino a quando due armigeri in sembianze quasi serpentesche lo rianimano per farlo scendere su una stretta scala (questa è una novità). L’acqua deterge e purifica le mani degli ebrei che si sono macchiate di sangue nella rivolta contro i filistei, Samson è un terrorista secondo il regista. Il secondo atto è in una specie di piscina vuota (forse richiamo alla Traviata di Irina Brook), a cui si accede da passaggi segreti celati da lastre scorrevoli; sullo sfondo due monofore grondano sangue. Poco sensuale è quel materasso buttato a terra fra stracci appesi a pali di legno: invano Dalila lo cosparge di petali pescati nel “casco” che ha in testa, l’erotismo non c’è. Né cresce il climax nel finale d'atto. La regia si lascia seguire, comunque, ma rimane nel comlesso statica: figuranti, coro e protagonisti sembrano camminare in scena più che svolgere una narrazione, già prevalentemente oratoriale nel libretto, nonostante i numeri di danza (penalizzanti le coreografie di Aline Nari) e la spettacolarità del finale (invero qui poco spettacolare): non si percepisce mai tensione drammatica e teatrale. E non convincono le novità finali: il baccanale è una danza di morte in cui gli ebrei vengono stuprati, torturati ed uccisi in ogni modo; uomini e donne rimangono in proscenio privi di vita, ma nel finale si rialzano, la vita riprende dopo la guerra. Nessun tempio che crolla: due elementi verticali scivolano verso il centro della scena, Samson li inclina con uno scossone, due tralicci si abbassano e un telo nero scende in fondo fino a metà altezza. Grande protagonista della serata è stato Eliahu Inbal, che ha dimostrato di amare molto questa partitura e che ha diretto l’orchestra del Comunale con competenza ed accademica perfezione, trasmettendo al pubblico continue e profondissime emozioni. Orchestra e coro sono improntati a una estrema, cristallina nitidezza sonora; magnifico e continuo è il controllo della dinamica e il raccordo cantanti-buca. Nelle pagine più sensuali o in quelle più epicheggianti si hanno tocchi di infinita delicatezza e raffinatezza. Penso alle pagine iniziali, oppure all’Hymne de joie dei vecchi ebrei, oppure al baccanale, ma è difficile enucleare momenti in una direzione così esemplare. I colori sono sempre morbidissimi, avvolgenti, impalpabili come stoffa di seta eppure consistenti, un continuo di preziosità armoniche e timbriche, una strumentazione di rara sensibilità. Il coro, terzo protagonista dell’opera, ha fornito una splendida prestazione, curatissima e perfetta ed è stato preparato da Paolo Vero in modo encomiabile. La tessitura prevalentemente centrale di Samson è congeniale alla bella voce di Josè Cura ed al suo temperamento: il timbro ampio, ammantato di velature brunite, trova appunto nel centrale il suo settore migliore. Ma gli acuti sono poco sicuri, fatica nel passaggio di registro e le mezze voci del secondo atto sono poco udibili (qui i piani non possono proprio essere evitati). Nel terzo atto il cantante dà il meglio di sé e la prova è eccellente, tratteggiando un uomo sconfitto ma non domato, rendendo credibile e commovente quella prolungata agonia morale. Questo Samson infatti non ha tratti epico-religiosi, mantiene in ogni momento una natura umana fortissima che nessuna “missione divina” occulta, connaturata a fragilità e vulnerabilità che rendono gli accadimenti ancora più tragici. Julia Gertseva è statuaria, molto bella e alta: scalza sovrasta e domina tutti, anche senza turbante in testa. La voce è di bel colore con nuance scure, i centri potenti e sontuosi, gli acuti solidi e sicuri, i gravi timbrati e sonori. Ma rimane fredda nell’espressione e la voce è priva di velature erotiche. Questa Dalila non è l’eroina biblica ma una donna, seducente (Samson le tocca i seni, lei bacia in bocca il Sacerdote) e al tempo stesso arrogante e spietata (uccide i prigionieri ebrei durante il baccanale). Ma manca di sentimentalismo, nella voce e nella gestualità. Mark Rucker è un Gran Sacerdote dalla voce ampia e potente ma priva di sfumature, penalizzato anche dai costumi di scena che praticamente gli impediscono gesti e movimenti. Corretto l’Abimelech di Mario Luperi. Con loro Ivica Cikes (vecchio ebreo), Cristiano Olivieri (messaggero), Paolo Cauteruccio (primo filisteo) e Mauro Corna (secondo filisteo). Teatro gremito, pubblico attento e plaudente, soddisfatto dello spettacolo, curioso per la prossima stagione appena presentata (apertura a novembre con il raro “Vampiro” di Marschner). Visto a Bologna, teatro Comunale, il 06 giugno 2008 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Comunale - Sala Bibiena di Bologna (BO)