SANTO GENET

Santo Genet: la vita come un'opera d'arte

Santo Genet: la vita come un'opera d'arte

Vedere uno spettacolo della Compagnia della Fortezza è sempre un’esperienza unica nel suo genere, tra il pubblico e gli attori si crea una sorta di magia, di alchimia, un tacito patto: si viene totalmente catturati da questi corpi tatuati, da questi volti e occhi segnati dalla vita, non si riesce a distogliere lo sguardo, se ne è totalmente rapiti e per certi versi sedotti. Il teatro di Punzo è un teatro immaginario e immaginato.
Punzo realizza con i carcerati della Compagnia della Fortezza di Volterra un lavoro visionario e delirante, un percorso sulla figura tormentata e controversa di Jean Genet, scrittore, drammaturgo, poeta, ladro e omosessuale, assiduo frequentatore di bassifondi.

Santo Genet è una costruzione drammaturgica complessa e articolata che attinge a opere diverse dell’autore francese, dai testi teatrali a quelli letterari, scomponendoli e ricomponendoli in una sorta di collage drammaturgico e autobiografico.
Elemento caratteristico di Genet è la sua vocazione metamorfica, che caratterizza i suoi rituali, dove ogni verità si trasforma naturalmente nel suo contrario: l’orrore e l’atrocità diventano bellezza e poesia, la santità coincide col degrado e la decadenza.
Il tema della duplicità, della doppia natura di tutto, del mondo, dei valori morali, dell’esistenza stessa, è il filo conduttore dell’elaborata e complessa partitura verbale della pièce.
Uno dei personaggi, ad un certo punto, dirà: «Se opponiamo la scena alla vita è perché abbiamo il presentimento che la scena sia un luogo prossimo alla morte, dove ogni libertà è concessa», sottolineando l’innata capacità del teatro di ribaltare i rapporti tra realtà e finzione, in qualche modo tra vita e morte, tra prigionia e libertà.

Lo spettacolo è una creazione immaginifica di tableaux vivants del mondo osceno di Genet, fatto di marinai, scenari fassbinderiani, bordelli colmi di personaggi ambigui e lascivi; è un viaggio tra i fantasmi della coscienza e i resti di identità smarrite e dalla dubbia moralità, è uno straziante e grottesco gioco di specchi tra il dentro e fuori, tra chi può uscire e sentirsi padrone della propria vita e chi quella vita se la deve inventare restando chiuso fra quattro mura.
L’affannoso e incalzante moltiplicarsi di voci sovrapposte con accenti diversi e forti connotazioni dialettali - che raccontano storie dove la distinzione tra bene e male non è così chiara, così evidente, dove innocenza e colpa si confondono – e la concitata “sfilata” di personaggi singolari e a tratti inquietanti che appaiono, ponendo a stretto contatto fisico chi recita e chi ascolta, creano una sorta di grande ventre interiore in cui sono immersi attori e pubblico, e ci regalano momenti di rara e incomparabile bellezza: ma è una bellezza crudele, dura, non destinata a durare, una bellezza che corrode, che logora e si logora progressivamente, che crea dubbi, incertezze e interrogativi.

Il mondo di Genet viene abilmente riportato in vita dalle suggestive musiche dal vivo di Andrea Salvadori - capaci di creare l’incanto sul quale disegnare la scena - e dalle visioni brutali e fortemente evocative di Armando Punzo. Menzione speciale al nutrito e variegato cast di attori, sempre “presenti”in scena e in uno stato di grazia, capaci di catturarci e regalarci momenti di intima, dolente e rara verità.

Santo Genet è uno spettacolo poetico e visionario, di una bellezza feroce e struggente, ma al tempo stesso delicata e lieve. Iconograficamente potentissimo e di forte impatto emotivo e visivo; Armando Punzo, deus ex machina, ancora una volta riesce a creare una dimensione surreale, sospesa, quasi magica dove attore e spettatore si scambiano vicendevolmente i ruoli e gli sguardi: il suo è un teatro aperto, vivo, dove chi guarda si trova ad essere a sua volta osservato, in un gioco di specchi perpetuo ed eterno.
Chiave di questo lavoro è la battuta finale, un toccante ed emozionante commiato, che suggella lo spettacolo: «Ora tornate a casa. Vedrete che tutto è molto più falso di quello che avete visto qui».

Visto il 22-02-2015