Prosa
SARTO PER SIGNORA

Binasco cuce il suo Sarto di Feydeau

Binasco cuce il suo Sarto di Feydeau

Un ingresso sul quale affacciavano molte porte: un delta di flussi e riflussi di situazioni, un dedalo di equivoci, un intrico di bugie e sotterfugi. Nella scenografia di Carlo De Marino era racchiusa l’anima di Georges Feydeau, basata sull’ironia intrinseca all’assurdità della normalità umana. La regia di Valerio Binasco ha viceversa impresso un colpo di timone verso gli eccessi umoristici, talvolta surreali, spesso grotteschi. Feydeau ha creato una stratificazione a grattacielo di misunderstanding, che il regista ha destrutturato e suddiviso in piani. Flash, scanditi dal rivolgersi degli attori al pubblico ponendo in stand-by l’interazione scenica, che hanno ritmato lo spettacolo o, per meglio dire, un vaudeville (genere con cui viene sbrigativamente catalogato l’autore) che ha abbandonato gli echi marionettistici d’oltralpe e si è cinto delle tinte tricolori dell’avanspettacolo. 

Un medico che ha tentato di tradire la sposa senza riuscirvi ma venendone accusato. Il di lei consorte, cornuto “in fieri”, a sua volta fedifrago con la moglie fuggitiva di un amico di famiglia. E poi una cliente della sartoria/garçonnière del protagonista, un maggiordomo pettegolo, una suocera logorroica, completavano lo spaccato di varia umanità dalle inflessioni babeliche, dal bolognese al napoletano al francofono, che hanno condotto verso “tòpoi” codificati, come Maschere della Commedia dell’Arte in cui Feydeau affonda certe quanto remote radici, qui de-nobilitate e modernizzate (concetti spesso equivalenti) infine ibridate con la Commedia all’italiana.

Nella carrellata di pulsioni e istinti, tanto veri quanto esilaranti, Binasco ha privilegiato questo secondo aspetto. La naturalezza, propellente dei meccanismi comici, ha ceduto il passo alla gestualità smaccata, alle gag sorprendenti, ai toni tarati sopra le righe, alla ricerca di risate esteriori, funzionali all’economia della rappresentazione prima che della pièce. Un delirio buffo dalla frenesia quasi rossiniana (senza possederne né la profondità né la leggerezza) come suggerito dalla scena d’esordio, accompagnata dal bel “crescendo” della colonna sonora composta da Arturo Annecchino, d’importanza non sottovalutabile in Feydeau, che faceva  provare i suoi attori a tempo di musica.

Alla suddetta linea registica ha fedelmente risposto il cast, che ha accennato le delineazioni caratteriali per soffermarsi su singoli particolari d’impatto. Su tutti, la colorita Anita Bartolucci, petulante suocera e aspirante deus ex machina, Madame Aigreville; Cristiano Dessì ha dipinto il maggiordomo di pindarica svagatezza mentre Fabrizio Contri ha compiuto un piccolo capolavoro di misura nel cingere il proprietario immobiliare Bassinet di magistrale levità. Infine Emilio Solfrizzi che, nei panni del Dottor Moulineaux finto “Sarto per signora”, ha citato, nella mimica facciale, Totò e Petrolini, facendosi portavoce della tradizione nostrana declinata in chiave gigionesca. Al termine, l’attore ha concitatamente parafrasato la classica “passerella”, sotto un metaforico scroscio di pailettes e cotillons, incitando i presenti alle esternazioni di consenso. Input superfluo, perché il pubblico (sovrano nel giudizio), stipato in ogni ordine del Teatro della Città aloisiana, ha applaudito e riso incessantemente per tutto il corso della serata.

Visto il 25-01-2016
al Sociale di Castiglione Delle Stiviere (MN)