Prosa
SDISORè

Civitanova Marche (MC), teatr…

Civitanova Marche (MC), teatr…
Civitanova Marche (MC), teatro Enrico Cecchetti, sdisOrè LA VERITA’ ESISTE SOLO NEL LINGUAGGIO Non sempre l’uomo sceglie il proprio destino. In nessun mondo come in quello greco arcaico questo sembra essere la prima e fondamentale condizione dell’essere uomo. E Oreste non si sottrae alla ferrea regola. È costretto ad un comportamento predeterminato, Dio, destino, dei, non importa chi, importa solo il fatto prestabilito, a cui è impossibile sfuggire. Fin qui nulla di nuovo. Infatti la storia narrata da Eschilo viene riassunta nell’incipit del programma di sala in 25 parole: “Oreste, figlio di Agamennone, torna ad Argo. Incontra Elettra, la sorella, meditano di uccidere Clitennestra e il patrigno Egisto. Lo fanno, poi Oreste chiede perdono.” L’unicità di Testori è la capacità di dare nuova vita a un testo classico. Anzi, non una nuova vita, ma almeno cinque, sei, innumerevoli nuove vite. La parola di Testori è un magma, incandescente, sanguigno, sanguinario, viscerale, umorale, “parola incarnata” che esprime la sua potenza dirompente creando una lingua sempre nuova, dove si mischiano e si corrodono dialetto bergamasco, la componente principale, e italiano, francese, inglese, spagnolo, latino. (Un esempio: “Oreste cargo de pagura, con la lengua infartuata e salmistrata”). La parola di Testori si adatta perfettamente al nuovo contesto in cui la tragedia ha luogo, la provincia lombarda (“Brianza’s tragedy” campeggia sul boccascena). La parola di Testori è concreta, contorta, materica, sofferta. La parola di Testori frantuma la realtà, la fa a pezzi, la trasfigura fino a tirare fuori a forza la carne e il sangue della verità. Una verità che è tale solo nel linguaggio, nel suo linguaggio. La parola di Testori è innovatrice potente, perché ha in sé un rinnovamento della lingua che non si esaurisce nella ricerca formale, ma diviene lo specchio del suo rapporto con la realtà. La parola di Testori travolge come un fiume in piena, lascia storditi, senza respiro. La parola di Testori si fa suono, un suono che ha una enorme capacità di comunicare oltre le barriere linguistiche, un suono che non deve essere intelligibile per essere compreso, perché è talmente perfetto ed intonato che da solo dà il senso compiuto a ciò che viene raccontato. Sì, certo, raccontato, perché questo è un teatro di parola, non di azione. Ma la parola è la parola di Testori. E fa la differenza, una differenza enorme. Come differente è il finale, se vogliamo: invece della catarsi nel “grande macello” della vendetta, assistiamo al disgelarsi del senso del perdono, “imparar a dimandar perdon”. Anche (e soprattutto) Ferdinando Bruni, interprete del monologo, fa la differenza, essendo il componimento di Testori rappresentato su un palcoscenico. Bruni è stupefacente, incredibile, in stato di grazia interpretativa. Riesce a essere narratore e tutti i personaggi nel medesimo tempo, con minime variazioni di tono e di gestualità. Anzi, è ancora più bravo perché non cambia radicalmente tono e gestualità, li modifica solo un poco per far capire chi è lui in quel momento, cioè di chi sta raccontando. Nello spettatore non ci sono dubbi: Bruni è l’idea del personaggio e insieme l’idea del narratore che interpreta quel personaggio. Pazzesco. Di una bravura indescrivibile. Anche il costume che indossa è perfetto: un frac di velluto nero e ricami dorati, un vestito rosa di pizzo e seta sopra pantaloni grigi ed anfibi militari. Sul viso di biacca bianca due profonde lacrime rosse e nere scendono dagli occhi. Nel suo tirare i teli di fondoscena, dipinti a vivaci scene tipo fumetto, c’è tutta la storia che viene narrata: 1) i traghichi eroi (il ganzo Eghisto, l’Elettrica desperata, la porca reghina), 2) la sagra et fatal tomba, 3) cammara privata dei ghenitanti – la lioparda della notte, 4) regal palazzo. La regia di Francesco Frongia coglie gli aspetti grotteschi e sanguinari del testo, trasformando la riscrittura di Eschilo in un baraccone da fiera e rappresentando un fattaccio di sangue, una torbida tragedia familiare da cronaca nera, raccontata in una piazza qualsiasi con il giusto complemento dell’accompagnamento musicale della fisarmonica di Fabio Barovero (su musiche originali di Filippo del Corno). Il racconto è fatto con le parole di Testori, che mescolano spudoratamente un linguaggio colto e triviale, toni alti e bassi. La parola di Testori su tutto. Volgare e colta. Aulica e attuale. Sanguigna-terrena e spirituale-celeste. Vera, per sempre. Emozionante sempre e sempre travolgente. Di più se a recitarla è Ferdinando Bruni. FRANCESCO RAPACCIONI Visto a Civitanova Marche (MC), teatro Enrico Cecchetti, l’11 novembre 2004.
Visto il
al Spazio Tertulliano di Milano (MI)