È curioso, nell’analisi di una messa in scena di “Sei personaggi in cerca d’autore”, trovarsi a fare, per prima cosa, considerazioni proprio su quanto, agli interpreti della Compagnia del Teatro Carcano, calzino o meno i personaggi pirandelliani. Se nella sceneggiatura, infatti i “personaggi” comparsi davanti al Capocomico e alla sua compagnia teatrale non si ritrovano nemmeno fisicamente negli “attori” che dovranno rappresentarli, una delle prime cose che salta all’occhio, in questa performance al Teatro Vittoria di Roma, è il fatto che Antonio Salines sembri piuttosto avanti con l’età per vestire i panni del Padre (che immaginiamo cinquantenne), come del resto anche l’attrice Silvia Ferretti non deve avere i diciotto anni attribuiti alla Figliastra. Sono cose che, in fondo, a teatro, accadono da sempre; ma non è tutto.
Salines è incontestabilmente un attore preparato, sincero, espressivo, tecnicamente forte; non mostra neanche un’esitazione sulla molte battute del suo impegnativo copione. La resa che dà di questo personaggio, però, seppur venata di drammaticità, è piuttosto “morbida”, al punto da suscitare una certa tenerezza, con la sua voce tremante ed intimorita e nemmeno i suoi tratti fisici lasciano intravedere quell’“uomo tormentato e tormentatore” preso dal “demone dell’esperimento”. Manca, insomma, una certa profondità e, forse, maniacalità che ci si aspetterebbe dalla descrizione di Luigi Pirandello.
Ciò non toglie valore, comunque, alle affascinanti riflessioni che, tramite le battute del protagonista, l’autore condivide sull’essere e l’apparire, sulla finzione e la realtà, finendo per confondere e convincere tutti.
Riflessioni che trovano voce anche nel personaggio del Capocomico, reso qui “vivo”, verosimile e coinvolgente da Edoardo Siravo, che per primo, giocando con le parole sull’immagine di un uovo e del suo guscio, conduce lo spettatore verso la relativizzazione di ogni cosa, fino alla disintegrazione dello stesso spazio teatrale.
Silvia Ferretti, dal canto suo, anche se rappresenta una Figliastra già “donna”, con la sua sensualità dirompente, risulta fin da subito accattivante e disinibita. La recitazione dell’interprete è un po' “impostata” e “teatrale” – paradossale, anche in questo caso, ricorrere proprio a tali aggettivi – ma conquista comunque l’attenzione del pubblico col suo dramma.
E se Capocomico, Figliastra e Padre vantano le parti più importanti nello spettacolo, tra i tanti altri personaggi vanno menzionati anche la Madre, chiusa nel suo dolore ma commuovente, quando riesce a gridarlo ed il Figlio, il quale è, sì, freddo, distaccato e schivo, ma lascia intravedere il disprezzo e l’odio che cova dentro di sé.
Un efficace e piacevole contrasto di colori separa “personaggi” ed “attori”, i primi vestiti di nero, comparsi in modo surreale dall’ombra - con la quale si confondono -, i secondi avvolti da abiti color crema in delizioso stile anni ’30. La scena è povera di elementi e vengono sfruttati poco luci e suoni, forse nella ricerca di un’essenzialità che punti l’attenzione unicamente sull’uomo.