Lirica
SEMIRAMIDE

Trionfa alla Fenice la “Semiramide” di Rossini

Semiramide
Semiramide

Non è solo un'opera 'grande' – quattro ore buone di musica in totale – ma soprattutto una grand'opera, la "Semiramide" con la quale il Teatro La Fenice di Venezia celebra l'Anno Rossiniano.

Non è solo un'opera 'grande' – quattro ore buone di musica in totale – ma soprattutto una grand'opera, la Semiramide con la quale il Teatro La Fenice di Venezia celebra l'Anno Rossiniano e chiude la sua stagione 2017/18.

Un capolavoro che proprio qui apparve nel 1823 concludendo l'esperienza italiana del Pesarese, in un mirabile connubio di limpidezza lirica e sontuosità strumentale. E rivelando nuovi orizzonti, presto esplorati da Meyerbeer, Mercadante, Donizetti, fino al giovane Verdi, che della scena del dio sdegnato farà tesoro in Nabucco, e che del delirio di Assur si ricorderà in Attila prima, in Macbeth poi.

Un direttore all'altezza ed un cast ideale

Innanzitutto incontriamo una straordinaria direzione musicale, ad opera di Riccardo Frizza: sapiente nello scavo della partitura, agile nel ritmo e variegata nei colori sin dalla scintillante Sinfonia; e finissima nell'accompagnamento ai cantanti, sempre immersi nell'intimo respiro rossiniano. In più, collaborazione piena da parte dell'Orchestra veneziana, che il maestro bresciano spinge ad una prestazione superlativa.

Nel cast, due vette. La prima, una Jessica Pratt che offre la sua vocalità luminescente, serica e fluente alla figura di Semiramide, dominandone la tessitura negli svettanti acuti ma rimanendo salda anche quando vortica in giù. Non avrà il temperamento imperioso d'una regina guerriera, ma ne risolve la fattezze sul pieno sentimentalismo ed alla fine vince. La seconda, una Teresa Iervolino che inanella nel suo solidissimo Arsace una girandola di vorticose e nitidissime agilità che rendono straordinari i suoi momenti virtuosistici. E quando le due cantano insieme ricamano i loro duetti con olimpica naturalezza, dovizia di sfumature e varietà di colori.



Il tenore Enea Scala risolve debitamente le tante fioriture disseminate nella parte di Idreno, centrando bene i sopracuti; e infonde al nobile amante sia buona eleganza vocale, sia la giusta dose di slancio e passionalità. Alex Esposito lo troviamo nei panni di Assur, parte baritonale scabrosa ed impegnativa come poche altre in Rossini. Espressivo nei recitativi, ne domina bene l'aspra tessitura, pastoso e potente nella colonna di fiato, scorrente nel fiorente fraseggio. Quando tende però, in qualche punto, a forzare l'emissione, il personaggio risulta un po' sminuito. Il basso Simon Lim consegna un Oroe possente e misurato, centrando tutta la gravità della profetica figura; Marta Mari rende a dovere il candore di Azema, Enrico Iviglia è Mitrane, Francesco Milanese l'Ombra di Nino. Irreprensibile la presenza in scena del Coro preparato da Claudio Marino Moretti.

Energia a piene mani

Raramente si incontra una regia così lineare e ben calibrata, ed allo stesso tempo così efficace e coinvolgente al pari di quella impostata da Cecilia Ligorio: sotto le sue mani il dramma di Semiramide ed Arsace procede serrato, dritto verso l'inesorabile epilogo, senza sbandamenti narrativi, né inutili orpelli esotici. Al risultato contribuiscono le suggestive scenografie di Nicolas Bovey – piani narrativi a più livelli, alte pareti dorate, massima essenzialità d'arredi – e gli elegantissimi e sobri costumi creati da Marco Piemontese. Gli adeguati interventi coreografici sono di Daisy Ransom Phillips.

Visto il 19-10-2018
al La Fenice di Venezia (VE)