Prosa
SEQUESTRO ALL'ITALIANA

PICCOLA STORIA DI DUE UOMINI DI POCA IMPORTANZA

PICCOLA STORIA DI DUE UOMINI DI POCA IMPORTANZA
“In futuro tutti saranno famosi per 15 minuti” diceva Andy Warhol, e mai come in questo particolare momento storico questa frase poteva essere più vera e attuale. Tutti siamo letteralmente a caccia del nostro quarto d’ora di “celebrità”, del nostro momento di gloria e poco importa a cosa sia dovuto, quale sia la causa, la ragione del momentaneo e subitaneo successo! “Sequestro all’Italiana”, nuova produzione del Teatro Minimo, è andato in scena dal 9 al 12 novembre aI Teatro San Martino – Gruppo Libero. Il testo, opera finalista al Premio Riccione per il Teatro '09, è stato scritto da Michele Santeramo e diretto e interpretato da Michele Sinisi. “Sequestro all’Italiana” è una piccola storia - di quelle che sulle pagine dei giornali occupano sì e no un misero trafiletto a piè di pagina, che vede protagonisti due uomini di poca importanza, Adriano e Ottavio, rispettivamente interpretati da Michele Sinisi e Vittorio Continelli. In scena una coppia di uomini, protagonista – loro malgrado - di un fatto di cronaca. “Vivere non è difficile potendo poi rinascere, cambierei molte cose un po’ di leggerezza e di stupidità…”, canta Battiato, ma i protagonisti di questa storia non hanno questa possibilità, per loro la vita è estremamente difficile e faticosa, non possono cambiare le cose, ci provano, invano, a modo loro, ricorrendo a un gesto tanto estremo quanto assurdo: sequestrano una classe di bambini per farsi ascoltare dal sindaco, per fare in modo che il mondo si accorga di loro, accetti e riconosca la loro esistenza, per affermarsi come individui, e quale modo migliore se non quello di fare qualcosa che gli consenta di avere i riflettori puntati su di sé per un momento? Magari compiendo un gesto estremo, assurdo: in una società in cui esisti solo se appari, il miglior modo per apparire è esagerare, osare. I due “novelli” sequestratori con il loro gesto estremo, disperato, goffo, a tratti comico, ci fanno quasi tenerezza, sono dei moderni Don Chisciotte che combattono inutilmente contro i loro mulini a vento, contro un sistema ormai radicato nel DNA del nostro Paese. Sono il prodotto in cui ci trasforma la vita, la realtà in cui viviamo: fenomeni televisivi, meteore dell’etere, esemplificazione reale e concreta del famoso quarto d’ora di celebrità di cui, in tempi non sospetti, parlava Andy Warhol; sono uomini senza futuro, che vivono nel presente, nell’immediato, tanto da commettere un azione assurda, senza curarsi troppo delle conseguenze e delle implicazioni del loro gesto, ma vedendo solo l’effetto immediato: ottenere l’attenzione necessaria per farsi ascoltare, per far presente la loro situazione al Sindaco, sebbene nemmeno alla fine capiamo quale sia il loro problema, quali siano concretamente le loro richieste. Ci fanno sorridere, ridere di gusto con i loro battibecchi e il loro modo goffo e impacciato di gestire la situazione, di portare avanti il sequestro, ma allo stesso tempo li sentiamo vicini, percepiamo la loro insoddisfazione, l’ insofferenza, l’impotenza che provano di fronte alla vita, alla società, al mondo. Michele Sinisi e Michele Santeramo, rispettivamente attore e regista dello spettacolo e autore del testo, definiscono “Sequestro all’Italiana” come la “storia di un fallimento” e affermano che “L’attualità, ancora l’attualità, ti fa avere a che fare con gente che dimentica, rimanda, fa finta di niente; questo, nel migliore dei casi. Non è una colpa politica, è una condizione delle persone”. Loro non cercano di mettere in scena l’attualità, in quanto risulta essere un’operazione estremamente difficile e il cui risultato sarà sempre parziale, quanto piuttosto cercano di analizzare, portare in scena i tipi umani che sono “figli”di questa attualità, le naturali e dirette conseguenze. Il sequestro è una farsa, i modi stessi della narrazione non permettono di prendere sul "serio" quanto avviene in scena. La scena, di Michelangelo Campanale, è essenziale e minimalista: una piccola finestra stilizzata – unico “varco” verso l’esterno, un pavimento inclinato di piastrelle gialle e una porta, che conduce all’aula dove sono tenuti in ostaggio i bambini – presenza invisibile, ma costante, di forte peso drammatico ed emotivo. Un senso di ambiguità, indeterminatezza, di non definito percorre tutto il testo e caratterizza la messa in scena. Nella frase che verso la fine Ottavio dice ad Adriano, “Giochiamo al sequestro”, c’è l’essenza dello spettacolo e anche l’essenza del teatro, perché viene esplicitato il rapporto tra realtà e finzione, tra la vita vera e il gioco: in scena gli attori giocano, “fanno finta di”, come fanno i bambini quando giocano appunto. Ciò che è interessante e intelligente è che noi non riusciamo a capire dove finisce il gioco e dove inizia la realtà: la loro ambiguità è voluta e premeditata. Uno dei punti di forza dello spettacolo è il testo, ironico e arguto, la partitura drammaturgia è ben costruita e articolata; uno degli aspetti più interessante è la costruzione dei dialoghi, caratterizzati da un ritmo serrato e incalzante, con una dinamica vivace e viva: le battute sembrano quasi che si incastrino l’una nell’altra, sono un botta e risposta denso, tragico e comico allo stesso tempo, come se fosse un “continuum” di parole e pensieri, una sorta di flusso di coscienza, consapevole, alla Joyce. “Non sapete quanta forza ci vuole a sentirsi inutili e ad andare comunque avanti” recita un passaggio del discorso che i due maldestri sequestratori vogliono fare al sindaco del paese: il sequestro stesso è stato organizzato per avere la possibilità di dire queste parole a qualcuno che potrebbe fare qualcosa, risolvere il problema. Ma questo gesto, per quanto estremo e disperato non sortisce gli effetti sperati, l’unico modo in quest’epoca per essere ascoltati è apparire in televisione, avere un certo tipo di visibilità mediatica: se non appari non esisti. Ciò che muove i due criminali improvvisati è il profondo bisogno di essere ascoltati, capiti, vogliono che il mondo si accorga di loro: i ruoli di vittime e sequestratori non sono assoluti, ma è solo una questione di punti di vista, basta che i due sequestratori rilascino un’intervista in esclusiva a una rete televisiva e la loro storia da atto criminale diventa un grido d’aiuto, una storia di disperazione e loro diventano “vittime del sistema” e non più criminali. L’interpretazione dei due attori, Vittorio Continelli e Michele Sinisi, è di forte impatto, molto vivace ed energetica, ma misurata ed equilibrata: riescono a evocare uno spaccato quotidiano in modo credibile e mai banale, senza esagerare nei toni. Il Teatro Minimo si conferma essere una delle realtà più interessanti e curiose della nuova scena teatrale, distinguendosi per l’originalità dei testi e il rigore, la sobrietà e la semplicità della messa in scena.
Visto il 10-11-2009
al San Martino di Bologna (BO)