L'improvvisazione sta alla base dell'arte di un bravo capocomico così come le buffe e farsesche scene per il buffone di corte, così Paolo Rossi si presenta in Versiliana con un monologo musicato all'aria apparentemente distratta e ricucita dagli stralci dei suoi spettacoli precedenti. Quella che dovrebbe essere una serata dell'onore, un percorso attraverso i successi dell'attore, riparte dalla barzelletta, ma da quella raccontata male e quindi rovinata, per divenire serata del DISONORE. Il disonore della caduta nell'alcol, degli sbagli sopra/sotto al palcoscenico, della corruzione dilagante di un paese razzista e omofobo, della perdita di amore, amicizie, lavoro e della fatica a risalire. C'è un racconto (in parte) autobiografico del comico ed esperienze che lo hanno arricchito, come quelle assieme a Gaber, Jannacci e Felice Andreasi, da cui Rossi trae anche alcuni brani musicali come Il palo della banda dell'ortica e Ho visto un re.
Un'improvvisazione che improvvisazione non è, che parte dalla barzelletta e attraversa il mistero buffo ( di Dario Fo, ndr) per arrivare con leggerezza e una punta di sarcasmo all'attualità, a rovinare l'atmosfera gioiosa e scanzonata dell'inizio per lasciare spazio, non troppo perchè poi si torna a ridere, alla riflessione e agli applausi partecipati.
Accompagnato da un gruppo il cui nome fa ridere solo a pronunciarlo, i Virtuosi del Carso, che già erano stati sua spalla durante lo show circense di SkyUno, a circa venti anni dal celebre programma Su la testa, che era già una confessione in diretta.
Perchè l'attore non deve avere segreti e quello che sa è ciò che condivide con il suo pubblico.