Un testo di Richard Bean, liberamente tratto da "Il servitore di due padroni", tradotto, modificato e ricontestualizzato da Pierfrancesco Savino, Paolo Sassanelli, Marit Nissen e Simonetta Solder .
In una Rimini degli anni '30, la cui colonna sonora è la canzonetta italiana suonata dal vivo dal bravo gruppo "Musica da ripostiglio", Pippo (Pierfrancesco Savino) è un arlecchino tormentato dalla povertà e dalla fame, che si improvvisa servitore di Rocco, arrivato in città per concludere un matrimonio frutto di un patto economico vantaggioso, e di Ludovico, malvivente toscano innamorato di Rachele, gemella di Rocco. In realtà i panni di Rocco sono indossati da Rachele, alla ricerca dell'amato Ludovico che scopriamo essere causa della morte di Rocco.
La trama è un susseguirsi di malintesi e goffi tentativi di Pippo/arlecchino di barcamenarsi tra due padroni ignari l'uno dell'altro. Intorno a questa situazione-tipo, plautina ancor prima che goldoniana, girano una quantità di vicende amorose, comiche e farsesche, immerse in una cornice musicale da avanspettacolo che si fonde continuamente con la storia stessa. E' una comicità senza tempo, ottimamente recitata e sempre attuale.
Tutti i personaggi appartengono ad un contesto malavitoso comico e vernacolare. Bartolo, padre di Clarice, promessa a Rocco, parla un milanese irresistibile da piazzista, Zaira, la sua domestica-ragioniera, spregiudicata e femminista ante litteram, è una romagnola verace e così i vari protagonisti rappresentano un'Italia da cartolina d'epoca, spassosa e verace.
Lo spettacolo si dipana per due ore e mezza tra situazioni della commedia dell'arte, equivoci, travestimenti, musica e canzonette, improvvisazioni e coinvolgimenti continui del pubblico invitato a salire sul palco. L'insieme costituisce una macchina complessa che, nonostante l'ottima interpretazione degli attori e la bravura dei musicisti, risulta però lunga ed eccessiva. In modo particolare i continui inviti alla partecipazione del pubblico, risalenti alla più antica tradizione teatrale, sviano l'attenzione e interrompono il ritmo che si vorrebbe più incalzante. La vivacità dell'insieme e le buone idee registiche di ambientazione e fusione di elementi teatrali diversi e complessi sarebbero maggiormente esaltate dalla concentrazione sul filo logico degli eventi, senza le digressioni continue che assumono l'aspetto di pause rallentanti.
Notevole l'interpretazione di Favino, che dimostra di padroneggiare disinvoltamente tutte le tecniche recitative, passando dagli stilemi della commedia dell'arte alla comicità più disinvolta, al canto. Tra gli altri si distinguono Bruno Armando, che convince nella parte del milanesotto truffatore Bartolo, e il bravissimo Ugo Dighero, decrepito servitore genovese, claudicante, cardiopatico e oggetto di ogni infortunio, caduta e batosta fisica. Le sue apparizioni sulla scena sono state esilaranti.
Splendide le scenografie che ambientano le azioni sia in interni (il primo ambiente è liberty) sia in esterni lungo il mare.
Il finale, dopo la ricomposizione dei malintesi e la giusta riunificazione delle coppie di innamorati, vede una nave illuminata nella notte che costeggia la riva sulle note di una felliniana Amarcord. Una cartolina dell'Italia di "bambina innamorata", di "quel motivetto che ti piace tanto" e di un periodo ancora felicemente lontano dalla guerra.
Uno spettacolo ricco, dalle molte componenti e di grande presa sul pubblico che ha apprezzato e riso di gusto.