Ne I Sette contro Tebe la maledizione di Edipo scagliata sui suoi discendenti maschi trova compimento con la morte di entrambi i figli. Il dramma di Eschilo si apre quando Polinice giunge alle porte della sua città per reclamare il diritto a regnare, che suo fratello Eteocle ha usurpato. E' una tragedia del Polemos, che nella sua lineare arcaicità svela la brutale violenza della guerra. Soprattutto perché si tratta di guerra fratricida, guerra civile dunque, tra fratelli, tra uomini che vantano lo stesso sangue, la peggiore delle guerre dunque, quella che fa i conti con i legami più profondi che un essere umano possa riconoscere.
La guerra è sempre la guerra di tutti
La messa in scena di Marco Baliani trasforma l'arcaico duello di due eroi in uno scontro collettivo che coinvolge e sconvolge l'intera città. Una città assediata come la Sarajevo degli anni '90 (fu Mario Martone allora a collegare Tebe alla capitale bosniaca) o come potrebbe essere l'attuale Aleppo. Una città sotto assedio che si smarrisce, mentre il Coro, diretto da Alessandra Fazzino, è in continuo movimento, prega ai piedi del grande albero/totem che campeggia sulla scena, si batte il petto, sceglie i suoi eroi e li consacra con grida barbariche, ma anche fugge, cerca riparo dai sinistri nitriti di cavallo dei nemici mentre dal terreno si alzano fumi che potrebbero essere quelli di moderne armi chimiche. Ma questo importa poco: la guerra è guerra, non sono le armi a determinarla, ma gli uomini. Sono gli uomini l'arma più temibile.
Uno spettacolo testardo
L'ambizione è il virus che stravolge le menti, è per il potere che si battono i due fratelli. Unico baluardo sembra essere Antigone, la tesissima e convincente Anna Della Rosa, che nella messa in scena di Baliani è presente sin dalle prime battute. Non un'eroina algida e inossidabile, ma una donna che rivendica tutta la sua femminilità. La rivendica nei gesti sofferti e nella sua testarda disperazione. Tutto lo spettacolo è come Antigone, testardamente impegnato a fare i conti con un senso della distruzione e dello spaesamento che pervade ogni angolo della scena, accompagna il respiro affannoso di ogni battuta, mette all'angolo lo spettatore. Messa in scena tesa e dal ritmo incalzante fino alla fine, con qualche sbavatura di troppo, come il megafono montato sul traliccio o l'abbigliamento dal profilo troppo pasdaran del Coro nelle battute finali. Sbavature appunto, niente di così preoccupante se non il rischio, sempre latente quando si maneggia la tragedia antica, di strafare senza che ve ne sia necessità.