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DIARIO PERPLESSO DI UN INCERTO

Shakespeare e Verdi, parola e musica

Shakespeare e Verdi, parola e musica

Una breve premessa: questo Falstaff che ha chiuso in bellezza il Ravenna Festival 2015 è lo stesso che Cristina Mazzavillani Muti aveva presentato nell'ottobre 2013, riunendo insieme al Teatro Alighieri le tre opere 'shakespiriane' di Verdi, cioè Macbeth, Otello, e appunto Falstaff. Con una sostanziale differenza, però. Stavolta a concertare e dirigere c'era Riccardo Muti, che non solo è il grandissimo artista che ben conosciamo, ma che con questo estremo capolavoro verdiano ha un feeling, un rapporto d'amore particolari, come tiene a ricordare lui stesso: «Potrei dirigere Falstaff ogni sera, immergersi in essa significa vivere in uno stato di gaudio totale. Perché dentro c’è la nostra vita, ciascuno può trovarvi un pezzo di se stesso, vanità, debolezze, narcisismo, intrighi, l’amore vissuto nella sua forma più fresca e intensa». C'è da dire che Muti, affrontando l'unico impegno operistico italiano del 2015, ha curato la preparazione della 'sua' orchestra – la Cherubini, composta da giovani preparatissimi – e di un cast radunato con saggia accortezza, seguendo e preparando entrambi in maniera maniacale: cioè prove su prove, come si usava un tempo, ragionando a fondo sul particolare come sull'insieme. Dovrebbe essere sempre così, ma chi lo fa più, preso dalla fretta e dagli impegni, e con un occhio sempre al borsellino? Nel contempo, giova dirlo, Muti ha miracolosamente trovato tempo anche per un master rivolto a giovani direttori e maestri collaboratori – ne parliamo a parte nelle nostre news – offrendo loro un'occasione di approfondimento del capolavoro verdiano. Risultato finale del suo sforzo, vedere in scena uno spettacolo straordinario che evidenzia non solo ottime prestazioni singole, ma anche un sorprendente affiatamento generale, con un fluire scenico e musicale di altissima qualità. Falstaff è l'apoteosi del cantare all'italiana, nella miglior accezione del termine: avere una bella voce non basta, bisogna anche esprimersi con massima finezza e far comprendere la parola, saperla fondere nella musica. Qui ognuno lo ha capito benissimo – anche Kiril Manolov, Sir John, che benchè bulgaro pare natio della Padania – e tributa ogni onore possibile alla crepuscolare partitura verdiana. Quanto a Muti, dopo aver tratto luminose stille di canto dai suoi interpreti, di quelle meravigliose pagine evidenzia ogni tratto, ogni piega, con una narrazione movimentata e fluida, esaltandone tutta la finissima teatralità. Attento, come è solito, a cesellare ogni suono, nell'incredibile varietà di tinte, nei piccoli e grandi prodigi timbrici, nell'inarrestabile pulsare ritmico, nella vivacità dei concertati, negli indugi lirici e nelle guizzanti accelerazioni, il maestro napoletano si muove in un terreno perfettamente congeniale, conseguendo risultati a dir poco esaltanti. Il segreto di tutto, in fondo, è quello di seguire con amore e fedeltà la scrittura verdiana, nella quale ogni cosa – non solo la musica, ma anche quanto capita in scena – viene messa nero su bianco. Verdi in fondo anche la regia te la porge così, bell'e pronta: Muti lo sa benissimo, e non trascurerebbe né toglierebbe un minimo particolare dello spartito posto sul suo leggio.
Eccoli dunque, in breve, i nomi di un cast affiatatissimo ed assolutamente esemplare. Kiril Manolov era già presente nell'edizione 2013, però qui affina meglio il suo personaggio. Beneficiato da un suono pieno, morbido e pastoso, si mostra ancor più intelligente e rifinito fraseggiatore d'ogni frase, ed è in grado di muoversi in scena come il più consumato degli attori. Il suo Falstaff – un nobile pur sempre di rango, benchè a corto di quattrini – nella sapida fusione di gesto e linea di canto mette in azione non solo un'aristocratica espressività, ma anche quella giusta dose di sense of humour che ne alleggerisce il peso ponderale. Federico Longhi, da parte sua, ci appare un Ford ideale, compiuto nel carattere - ora scontroso, ora insinuante - e generoso di sfumature e chiaroscuri profusi a piene mani nella fantasiosa linea di canto, restando alieno da vacui macchiettismi. Vederli insieme nella scena della taverna, affiancati in un gara di opposti caratteri e proposizioni, era una vera gioia per gli occhi e le orecchie. Squisite in scena pure l'Alice di Eleonora Buratto e la Meg di Anna Malavasi, la tenera (e delicata nei luminosi acuti) Nannetta di Damiana Mizzi, la misurata e gustosa Quickly di Isabel De Paoli. Molto promettente la calda e ben impostata voce del giovanissimo Giovanni Sebastiano Sala, spigliato e fresco Fenton. Definire le altre parti come di contorno, in quest'opera così corale, sarebbe quanto mai inappropriato: erano affidate ad interpreti espressivi quali Giorgio Trucco (Cajus), Matteo Falcier (Bardolfo), Graziano Dallavalle (Pistola). Ineccepibile come sempre l'apporto del Coro del Teatro di Piacenza preparato da Corrado Casati.
«Scrivendo Falstaff non ho pensato né a teatri, nè a Cantanti. Ho scritto per piacer mio, e per conto mio, e credo che invece che alla Scala bisognerebbe rappresentarlo a Santa Agata», affermava Verdi; e seguendo questo suo pensiero, Cristina Mazzavillani ha inserito sullo sfondo - con un'efficace e molto suggestiva tecnica di videoproiezioni di grande profondità preparate da Ezio Antonelli e Davide Broccoli, e sostenute dalle luci di Vincent Languemare – non solo locande inglesi e boschi fatati, ma anche il fresco giardino di Sant'Agata, il teatrino di Busseto, e l'antica osteria di Roncole: i luoghi auspicati dal vecchio compositore. Spettacolo graziato da una regia fresca ed immediata, curata nei dettagli ed agile nel racconto, con belle pennellate di gusto pittorico, intrisa d'un umorismo sempre ben calibrato; spettacolo che vola rapido sotto i nostri occhi, ma che poi rimane scolpito nella mente. Ci sono assai piaciuti anche i raffinati costumi di Alessandro Lai, che introducono in un'epoca antica anche se non ben precisata.
Tre recite esauritissime tutte accompagnate da un enorme successo di pubblico, con lunghissimi applausi a tutti gli interpreti. L'opera, in replica una settimana dopo ad Oviedo, è stata registrata da RAI 5 per essere trasmessa in autunno sugli schermi televisivi in HD: evento da non perdere assolutamente.

(Foto © Silvia Lelli)

Visto il 26-07-2015