Secondo appuntamento al Teatro Ca’ Foscari di Venezia e la cifra qualitativa di Correlazioni – Stare al Mondo, questo il titolo della stagione 2016/17, si fa sempre più evidente e leggibile.
Dopo Sorry, Boys di Marta Cuscunà, certamente una delle voci più interessanti della ricerca italiana, arriva sul palcoscenico di Dorsoduro un’icona della nostra storia teatrale degli ultimi vent’anni. Elena Bucci in uno splendido e irrefrenabile assolo per, con e su Shakspeare.
Una cavalcata mozzafiato tra sonetti e scampoli di tragedie, in una dimensione costantemente in bilico tra rock onirico e valenze psicadeliche scandite dalla tastiera e il violino di Dimitri Sillato, unico compagno in questo viaggio di voci e anime nel mondo del bardo di Stratford.
Al centro di uno spazio nudo, ma al tempo stesso precisato da alcuni inequivocabili segni, una coppa, un velo bianco e un mantello nero, Elena Bucci si muove inseguendo incessanti variazioni di ritmi e colori, spossata dalla fatica a tratti, eterea e fiabesca in altri. Combatte con Ariel e Calibano la Bucci, ma poi si sdoppia nelle streghe di Macbeth, maledice la gelosia di Otello e constata il fallimento di Lear. E’ un continuo entrare e uscire dalle figure shakspeariane il suo movimento scenico, offrendo ad esse il proprio corpo, che è tanti corpi, e la propria voce, che è tante voci.
L’immenso debito che questa grande attrice del teatro italiano ha nei confronti di de Berardinis è tutto lì, su quel palcoscenico, proprio sotto i nostri occhi. E’ lui, il Leo di Scaramouche, che rivive attraverso la parola poetica di Shakspeare. L’inizio dello spettacolo sembra un vero e proprio tributo a chi, Leo de Berardinis appunto, ha saputo portare per mano Elena Bucci nel mondo crudelmente incantato del poeta di cui oggi ricordiamo i quattrocento anni dalla morte.
Ma lo spettacolo va avanti e la Bucci tira fuori tutta la sua statura e l’autonomia, affettuosa certo e quasi in punta di piedi, dal proprio maestro: le voci dei personaggi si intrecciano creando vocalità ingenue e perse come nell’isola del Sogno, stridule e irritanti come le streghe, sconcertate e affrante come nel principe di Danimarca, e ancora violente o sospese o sprezzanti o incredule al punto che in scena i personaggi sono molti di più di quelli che avresti mai creduto.
E’ un concerto questo inseguirsi di voci, mentre le note di Sillato creano una sorta di bolla, un vuoto pneumatico nel quale galleggiano tradimenti, disperate tentazioni, follie d’amore, spasimi e neri sentimenti. E’ per questo che una volta spente le luci di scena si ha la sensazione che lo spettacolo non sia per davvero finito, la magia, il sogno, le fantastiche creature di un’isola non possono per davvero finire, continuano ad aleggiare nel buio e quando poi si riaccendono le luci per i saluti finali puoi pensare che tutte quelle creature ci siano sedute accanto, mentre applaudono chi ha dato loro per una sera corpo e voce.