“Io credo che una volta, tanto tempo fa, esistessero grandi storie”
La generazione degli anni Novanta torna in scena al Teatro dell'Elfo in un testo duro, fatto di dialoghi feroci che scavano a fondo dentro le pieghe scomode del consumismo, presentandoci una gioventù nuda e vendibile al miglior offerente. Ragazzi che (soprav)vivono senza approdare a nulla annaspando fino allo sfinimento dentro i loro stessi vuoti esistenziali. E' l'opera cult di Mark Ravenhill, il testo che lo ha reso noto a livello internazionale. A firmarne la regia un bravo Ferdinando Bruni già svezzato al confronto con l'autore inglese in“Handbang” (stagione 2000/2001) e da sempre attento alla drammaturgia contemporanea anglosassone. Shopping & Fucking ritorna dopo tre anni con lo stesso cast che lo ha portato al successo e restituisce tutta la forza del testo originale in un coacervo di droga, sesso, hotlines, shopping, junk food in monoporzione, problematiche affettive e denaro. Denaro, soprattutto. Qui, in un mondo dove i soldi sono tutto e persino i sentimenti sembrano assumere valore di transazione pecuniaria, ogni cosa ha apposto il cartellino con il prezzo. Lulu, Mark, Gary e Robbie, quattro giovani dai nomi che ricalcano l'universo musicale dei “Take That”, si muovono entro una scenografia minimale costruita da un solo ambiente che si frantuma, di volta in volta, in tanti luoghi diversi (appartamento, stanza dei colloqui, monolocale...) grazie alla connotazione che ne danno gli attori con un tratto di gesso sul muro.
Sul palco spoglio vanno in onda, come in una puntata del Grande Fratello, spaccati di realtà scomposta che si diramano da un ménage à trois prevalentemente omosessuale in cui si insinua la vita di un quattordicenne markettaro abusato dal patrigno.
Corpi che vomitano, soffrono, amano, fottono.
Gli adulti sono figure sbiadite e lontane che veicolano indifferenza. Brian (interpretato dallo stesso Ferdinando Bruni) è solo un uomo/padre maturo, nutrito a cinismo e devoto al denaro.
Tutto è raccontato, o per meglio dire mostrato, entro la cornice di un realismo esasperato dove al pubblico arrivano persino gli aromi del cibo cotto nel microonde.
Piccole storie in un mondo in cui di storie grandi non ce ne sono perché si vive alla giornata tra giochi sessuali perversi e cinismi irritanti che prendono forma dentro un grande compost in cui valori e sogni sono marciti ancor prima di nascere.
La debolezza di un finale che condensa spegnendo in parole la potente tensione evocativa della piéce non inficia la riuscita di uno spettacolo ben costruito e ottimamente interpretato da un cast di giovani e talentuosi attori.