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SHORT THEATRE 12 SETTEMBRE 2011

Quando il teatro incontra la letteratura

Quando il teatro incontra la letteratura


L’amore segreto di Ofelia

Della storia tra Amleto e Ofelia, fidanzata del Principe e morta affogata, e demente, dopo la morte del padre Polonio per mano di Amleto, è piena la letteratura e l'arte, dai tempi del Bardo sino ai giorni nostri. Steven Berkoff si inserisce nella tradizione a piede teso scrivendo L’amore segreto di Ofelia una serie di monologhi, sotto forma di  39 lettere, proponendoci  uno scambio epistolare tra il principe e la giovane fanciulla. Un amore spirituale che si trasforma, di lettera in lettera, in una metafora fin troppo ovvia dell'amore carnale, sfiorando quasi il ridicolo (come quando Ofelia scrive ad Amleto I'll squeeze thy balls like juicy persimmons (tl=Strizzerò le tue biglie come cachi succulenti). L'idea non è del tutto peregrina e trova una giustificazione nel testo shakespeariano quando Amleto, nella seconda scena del terzo atto, chiedendo se può poggiare la testa sulle ginocchia di Ofelia le fa delle esplicite allusioni sessuali. Ciononostante il testo di Berkoff spiazza sia da un punto stilistico, perchè il tono aulico stride con i contenuti esplicitamente e volgarmente (nel senso di ovvi e banali) sessuali, sia da un punto di vista contenutistico, perchè la libido dell'Ofelia di Berkoff non trova riscontro nel personaggio originale.
Il percorso di ricerca che ha indotto Michela Lucenti e Maurizio Camilli  a indagare drammaturgicamente il testo di Berkoff è molto suggestivo e interessante. Una ricerca che, coniugando la danza con la musica e  la recitazione con il canto, approda a un linguaggio scenico “totale”. Il risultato è però discontinuo e a tratti tedioso. Alcuni momenti della danza (davvero scarni e sacrificati ad un testo che erode ogni altra componente dello spettacolo) sanno davvero emozionare, come quando, AmletoMaurizio Camilli conduce con sé OpheliaMichela Lucenti ponendosela su una spalla, come se ne volesse  ammantare ma in generale i movimenti scenici sono troppo al servizio del testo che, quando è proferito, non lascia spazio agli altri elementi drammaturgici per cui danza, musica e canto svaniscono.
La dominante ocracuoio della scenografia allude a un paesaggio secco e argilloso nel quale pendono come tante liane i microfoni che i due perfomer usano per declamare i versi del testo, costituendo a una metafora che non contribuisce davvero alla comprensione del testo. Anche i costumi scelti per i due performer sono impenetrabili. Un classico abito lungo per Ophelia e un grembiale di gomma su torso nudo e pantalone per Amleto, a metà tra il fabbro e il bondage, ripescando in un immaginario collettivo tra fine ottocento e inizio novecento che non si sposa né con l'epoca del Bardo né con quella contemporanea com'è nelle intenzioni dei due performer. Altri elementi di notevole interesse (uno fra tutti le sperimentazioni vocali di Michela Lucenti), rammaricano per il loro impiego episodico e disorganico.
Insomma L'amore segreto di Ofelia colpisce, irretisce, seduce, annoia, anche, ma alla fine non convince, lasciando lo spettatore con una domanda inespressa ma lucidamente consapevole: cui prodest?


L’amore segreto di Ofelia

(di Steven Berkoff)
ideazione scrittura fisica e messa in scena Michela Lucenti e Maurizio Camilli
in scena Michela Lucenti e Maurizio Camilli
disegno luci Pasquale Mari
scene Alberto Favretto
una produzione Balletto Civile /Fondazione Teatro Due/ Pierfrancesco Pisani



Biglietti da camere separate

La cosa che colpisce oggi di Camere separate di Pier Vittorio Tondelli (Bompiani, 1989) è il suo essere un romanzo datato che fotografa un periodo storico in cui l'omosessualità era ancora ostaggio dei fantasmi borghesi della famiglia, dove il protagonista, uno scrittore trentaduenne che elabora il lutto della morte del compagno Thomas, si rammarica, in quanto gay,  di non poter formare che una strana famiglia senza donne né figli (parole del narratore esterno e onnisciente che Tondelli sceglie come punto di vista per raccontare la vicenda). Un punto di vista distante anni luce da quello di oggi, la cui lontananza segna il percorso di maturazione che le persone omosessuali hanno fatto nell'arco di appena vent'anni, finalmente libere dai sensi di colpa per la propria condizione, in grado di  formare famiglie fatte di persone dello stesso sesso e anche di  figli, non per questo strane o diverse. Persone che - se potessero - si sposerebbero, come accade ormai sempre in più paesi del mondo, in barba al libertinismo  anni settanta (da cui Tondelli era partito nel suo romanzo d'esordio) che legava l'omosessualità (maschile) al puro consumismo sessuale, vera cifra antiborghese dell'omoerotismo e, in realtà, intimamente borghese.
Ascendenza borghese che dà al racconto drammatico e doloroso del lutto sincero e toccante del protagonista una nota straniante e antipatica di chi vive col privilegio dei viaggi continui tra Europa, Stati Uniti e Canada, alberghi cosmopoliti e crisi di pianto su aerei che sorvolano le Alpi, il contesto in cui elaborare il lutto, dove il racconto di rapporti sessuali, incontri e rave party acquista il gusto dell'esotico cosmopolita... O dove il lutto per l'amore perduto è razionalizzato in una teoria dell'amore da camere separate che sostituisce l'impegno con la partecipazione condizionata che non deroga mai dalla libertà individuale (altro concetto squisitamente borghese).
Di Camere separate, ultimo romanzo di Tondelli, che morirà di aids due anni dopo la sua pubblicazione, la cui importanza sociologica più che letteraria  resta inalterata costituendo il documento imprescindibile di un'epoca, Andrea Adriatico allestisce uno spettacolo che si propone come uno sguardo su Tondelli.
Adriatico isola dal romanzo alcune direttrici narrative, grazie alla sua struttura narrativa in flashback che gli permette agevolmente di intervenire nel testo senza snaturarlo e senza forzature, compilando in una serie di biglietti - alcuni dei quali farà distribuire agli spettatori direttamente dagli  attori, una partitura testuale per voci recitanti
La scena è all'aperto, in uno spiazzo sul quale spiccano due postazioni circolari, poste ai lati opposti, sulle quali spiccano, oltre ai due performer, un'asta per il microfono, e un elemento non subito identificabile come altoparlante  (piantana circolare, asta telescopica sormontata da un cerchio...). Sui quattro lati dello spazio delimitato dalle due postazioni, le sedie per il pubblico.
I due attori non interpretano i personaggi del romanzo, Thomas, il ragazzo morto e Luca, il protagonista, ma si limitano a declamare il testo di Tondelli imparato a memoria. Una scelta rispettosa per il romanzo del quale lo spettacolo vuole essere un omaggio, prediligendo nella drammaturgia  la parte sonora a quella visiva.
Le musiche costituiscono un sostegno e un commento forte alla declamazione del testo  alcune delle quali sono originali di Massimo Zamboni altre scelte trai brani esplicitamente citati nel romanzo (come la splendida We Can't Live Togheter di Joe Jackson) alternandosi alla voce dei due attori o costituendo un tappeto sonoro mai fastidioso. La voce dei due interpreti è amplificata dal microfono e spazialmente dislocata essendo riprodotta dal diffusore collocato nella postazione opposta a colui che parla. Altre varianti sono contemplate, a seconda della temperatura emotiva del racconto, la voce può essere diffusa dall'altoparlante della postazione da cui si parla o da entrambi i diffusori come quando nel finale uno dei due attori usa entrambi i microfoni per dislocare la sua voce ora in uno ora nell'altra delle due postazioni. I due attori si alternano alle postazioni, quando non camminano davanti al pubblico, declamando il romanzo a loro favore o dando loro di spalle, portando il microfono e l'asta con sé brandendole come una lancia. Un lavoro notevole che tradisce la vocazione uditiva e non visiva dello spettacolo che, per queste sue precipue caratteristiche sonore, potrebbe essere tranquillamente seguito alla radio.
Del tutto esornativi sono infatti i gesti che il regista fa fare ai suoi attori, il continuo scambiarsi di postazione, correndo dall'una all'altra, lo stendere dei lenzuoli e delle camice su un filo, tirato su per l'occasione, lenzuolo col quale alla fine, entrambi gli attori si ricopriranno stesi per terra come fossero due cadaveri. Anche il nudo integrale che li vede entrambi coinvolti, è del tutto superfluo e non essenziale alla comprensione del testo, alla sua fruizione emotiva.
I due performer sono degli affabulatori discreti, con il testo da  recitare non equamente distribuito, con qualche difetto di pronuncia  sulle vocali non troppo fastidioso ma comunque evidente (e facilmente  correggibile).
Portare in scena un romanzo è d'altronde sempre un'operazione limitante per la messinscena ma in questa riduzione quello che sembra mancare è proprio l'urgenza drammaturgica, il motivo per cui adattare per la scena un testo letterario, affrontato senza un vero fondamento drammaturgico. Uno splendido atto d'amore per la letteratura e per Tondelli un po' meno, però, per il teatro.


Biglietti da camere separate

uno sguardo di Andrea Adriatico su Pier Vittorio Tondelli
con Maurizio Patella in Camera 1, Mariano Arenella in Camera 2
suoni originali di Massimo Zamboni
luci, scene e costumi di Andrea Cinelli
cura artistica di Saverio Peschechera
fotografia Raffaella Cavalieri
supporto tecnico creativo di Roberto Passuti e Gianluca Tomasella
grazie per l'aiuto, lo scambio e il sostegno a Stefano Casi, Giulio Maria Corbelli, Daniela Cotti, Monica Nicoli, Simona Patti e a Francesca Ballico
Andrea Adriatico ringrazia i Teatri dell'Imbarco di Firenze per averlo spinto a considerare questa avventura

Visto il 12-09-2011
al India di Roma (RM)