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SHORT THEATRE 2010 8 SETTEMBRE

Short Theater e l'Italia è più vicina all'Europa

Short Theater e l'Italia è più vicina all'Europa

Continua questa interessantissima edizione di Short Theatre, che ha debuttato il 3 settembre all'India di Roma e prosegue ora, fino all'11 settembre, al Macro La pelanda, la sede testaccina del nuovo museo di arte contemporanea di Roma, in uno spazio ricavato dal vecchio mattatoio dell'urbe, ancora in fase di rodaggio, ma che ben si sposa con la vocazione di Short Theater di essere più che un festival o una rassgena una manifestazione che tasta il polso alla scena teatrale contemporanea del nostro Paese e oltre. La qualità e a diversità degli spettacoli proposti dimostrano che alla vocazione corrisponde una capacità soprendente e i due teatri in cui prende luogo, due squsiti esmepi di architetura industriale, di spazi riconvertiti ad un impiego culturale, fanno respirare nonostante i tagli alla cultura un'aria davvero europea.
Di questo primo giorno di programmazione nella nuova sede siamo riusciti a vedere solamente lo spettacolo di Roberto Latini ed è dunque solo per motivi contingenti se non recensiamo gli altri che non abbiamo potuto vedere.

 


Fellini non è Pirandello

Mentre lo spettatore prende posto in sala si notano un pozzo ottagonale sul quale pende un trapezio, di quelli da circo, orlato di piume bianche e una inferriata, anch'essa ottagonale, che si staglia al centro della scena. Dal pozzo salgono dei fumi, mentre un rumoriccio di campane ogni tanto si fa sentire. Poi entrano in scena i due protagonisti, vestiti da clown, con un pesante trucco. Post glam più che da clown (bombetta, orecchini a pendente, palpebre colorate di celeste, labbra rosse) per il primo.  Più da canonico pagliaccio, con tanto di finto ape, guanti bianchi e cilindro, il secondo. Sono rispettivamente Roberto Latini, attore e regista della pièce, e Sandro Lombardi, avvezzo al confronto con registi e attori delle più disparate provenienze ai quali di recente si affida. L'occasione è  l'atto unico L'uomo dal fiore in bocca di Pirandello la cui storia è nota un uomo confida a uno sconosciuto incontrato in un bar la sua voglia di stare fuori casa, lontano dalle cure della moglie, a spiare i  commessi dietro le vetrine dei negozi o passeggiare di notte, spinto dalla consapevolezza di una morte imminente per via di un epitelioma (il fiore che ha in bocca).
Un'occasione, quella di Pirandello, per declinare in maniera elegante un mistero narrativo (chi è lo strano signore che spia i commessi dei negozi?) con lo sfuggire del tempo e della vita, che acquista senso solo quando diventa passato o viene perduta. Un'occasione, per Lombardi, di provare nuove vie drammaturgiche, sempre pronto ad affrontare nuove esperienze con quanto il teatro contemporaneo ha da offrirgli.
L'esperimento riesce però fino a un certo punto.
Lombardi, l'uomo dal fiore in bocca, è lieve e svagato, e interpreta il testo pirandelliano con una leggerezza che è, al contempo, una prova altissima d'attore e un atto di rispetto per il testo, che riesce sempre a proferire con chiarezza e nitore. Latini invece insiste troppo sui toni alti della voce, quasi fastidiosi, quasi gracchianti, con certi effetti recitativi da doppiaggio cinematografico, inseguendo un ritmo discorsivo che si sgancia dal significato del testo, rischiando di non farsi capire con la dovuta pulizia e precisione.
Se ci si chiede il perchè dell'allestimento scenico, quel pozzo e quella gabbia, si scopre che nascono da esigenze scenografiche per la messinscena originale, avvenuta nel cortile duecentesco del Museo del Bargello di Firenze, dove c'è un vero pozzo ottagonale,  dove lo spettacolo ha debuttato lo scorso Giugno.
Se ci si chiede il perchè delle scelte registiche si fatica invece a trovare risposte altrettanto immediate.
Latini ha ragione quando afferma, nelle note di regia, che abbiamo il dovere di considerare il testo - e i classici in generale - non come letteratura, ma come materiale a disposizione dell’appuntamento-teatro. Però lì'operazione che compie ci pare sbilanciata troppo dal lato dell'appuntamento a discapito del testo.
Latini veste il testo pirandelliano di una atmosfera vaga, malinconica, onirica, felliniana,  da circo, i cui officianti sono due clown malinconici e solitari. Questa  decontestualizzazione del plot originale (che vuole l'azione svolgersi nel bar di una stazione ferroviaria)  invece di aggiungere chiarezza  al testo rischia di diluirne senso e significato in un allestimento che tende a essere solo un esercizio di stile. La partitura sonora soffoca il testo perchè insiste (forse troppo) su musiche malinconiche e  impiega una serie di rumori (i reiterati spari cui Latini finge di cadere colpito) e di ripetizioni,  a mo' di eco, fatte in diretta, dall'audio amplificato dei due attori,   di alcune loro parole e risate. L'impressione è che regia e musiche non siano al servizio del testo di Pirandello ma che lo considerino quasi un pretesto. Non si può negare a questa messinscena una coerenza formale, e bisogna riconoscere a Lombardi i picchi emotivi e recitativi che riesce a raggiungere con mestizia e semplicità, ma forse avrebbe giovato, e non solo alla recitazione di Latini, una maggiore misura.
Il pubblico tributa un applauso crescente e sempre più entusiasta ad entrambi, e questo è quello che conta di più.
 
 

L'UOMO DAL FIORE IN BOCCA
di Luigi Pirandello
con
l’uomo dal fiore in bocca, Sandro Lombardi
il pacifico avventore, Roberto Latini
adattamento e drammaturgia Sandro Lombardi
regia Roberto Latini
scene Luca Baldin
costumi Marion D’Amburgo
luci Gianni Pollini
musiche originali Gianluca Misiti

Visto il 08-09-2010