Daniele Timpano Aldo morto
Quello che colpisce degli spettacoli di Daniele Timpano è la grande intelligenza drammaturgica con la quale li costruisce tramite un personaggio-attore che incentra il discorso col pubblico sul proprio privato, sui propri ricordi, e sul proprio vissuto, sulla propria storia e le proprie idiosincrasie. Naturalmente si tratta di una invenzione teatrale perchè il Daniele Timpano che vediamo in scena non è l'uomo e nemmeno l'attore, ma sempre un personaggio.
Un personaggio che si chiama Daniele e che fa l'attore. Un attore dalla postura dinoccolata, nervosa e fiera, che affascina e distrae il pubblico. Lo distrae presentandogli date, luoghi, circostanze dell'argomento affrontato nello spettacolo, come fossero il frutto di un suo personale e puntiglioso interesse per il dettaglio, mentre sono le tappe di un pezzo di storia collettiva che lo spettatore in sala, per motivi anagrafici, per insipienza propria o memoria corta, dimentica di sapere, e forse non sa davvero più.
Eppure dovrebbe perchè il tipo di conoscenze che Daniele porta in scena, raccontandole, commentandole, recitandole, declamandole, assumendo ora il punto di vista di un personaggio storico ora quello di qualcun altro, non sono il bagaglio snob di un erudito che fa pesare le proprie conoscenze, ma, pur se basate su una ricerca seria e davvero d'ampio respiro, le conoscenze minime e indispensabili che fanno di una persona un cittadino informato del mondo (della società) in cui vive.
Dopo aver affrontato la storia del Duce e del trafugamento del suo cadavere con Dux in scatola , dopo aver analizzato la retorica dell'unità d'Italia con Risorgimento Pop Timpano affronta in questo suo nuovo spettacolo, in anteprima per Short Theatre, l'icona di Aldo Moro, presente nella memoria collettiva come il presidente ucciso dalle Brigate Rosse.
Aldo Morto più che Moro dunque, da cui il titolo, azzeccatissimo, dello spettacolo.
Con una irriverenza indovinata e necessaria, anche verso il pubblico, di volta in volta inquadrato come ignaro dei fatti, indifferente o comunardo, ma con un profondo rispetto per il senso della Storia e per la dignità delle persone Timpano affronta il personaggio Moro da ogni punto di vista. Quello personale e umano, attraverso i ricordi delle sue figlie, così come si desumono nei loro libri, facendole riportare al figlio che interpreta sulla scena; quello politico e pubblico (Timpano cita un suo discorso fatto alle Acli nel 1962, che ci farà sentire dalla voce vera di Moro a fine spettacolo, mentre il pubblico lascia la sala) in un confronto scontro con la memoria storica che nasce sempre dalla ricerca e dall'informazione (anche perchè, ricorda Timpano, quando Moro è stato assassinato lui non aveva nemmeno quattro anni...). In un'ora e quaranta di spettacolo (che non è affatto vero, come dice in scena, celiando, che è troppo lungo e che annoia, anzi il tempo vola per quanto sa tenere la scena, da solo, con l'ausilio di pochi strumenti scenici) Timpano percorre in lungo e in largo i quarant'anni di storia italiana che hanno come epicentro il rapimento, e la morte, di Aldo Moro. Ricorda come non sono esistite solamente le BR citando anche alcune delle quasi duecento sigle politiche di resistenza rivoluzionaria, critica la Storia d'Italia a fumetti di Biagi che dedica all'intera stagione degli anni di piombo una sola vignetta... (le semplificazioni - dice giustissimamente Timpano - sono una truffa) ritornando sempre su quei 54 giorni (non 55 come riportato da tutti perchè all'alba del 55mo giorno Moro era già morto...) di prigionia, dal rapimento all'assassinio.
Tra brigatisti pentiti che oggi scrivono libri (Adriana Faranda, in una splendida spassosissima imitazione) o aprono case editrici (Curcio), tra culto della persona (ancora Curcio che in scena si incensa novello Mazzinga), proclami rivoluzionari e simboli di provenienza incerta (la stella a cinque punte delle BR che ha analogie con simboli di ambiti lontanissimi, dalle logge massoniche, alla Repubblica italiana alla Virgin) Timpano evoca il clima politico di quegli anni, dalle rivolte sessantottine agli anni di piombo, passando per la strategia della tensione, verificando il discorso politico di allora anche tramite le canzoni impegnate dei cantautori di sinistra (da Claudio Lolli a Gianfranco Manfredi).
Nel ritornare sempre ai fatti che dal rapimento che condussero Moro alla morte (la Renault 4 rossa dove venne ritrovato il suo cadavere che compare in scena, modellino radiocomandato, come vero e proprio personaggio) Timpano ricorda come la ricostruzione dei giorni di prigionia si debba esclusivamente alle dichiarazioni dei brigatisti, che pretendono Moro sia rimasto rinchiuso in una stanza di un metro per tre (dichiarazioni che non hanno riscontro con le prove autoptiche che non mostrano atrofia muscolare nel cadavere di Moro) dichiarazioni indotte da un apparato legale creato ad hoc che ha permesso loro di dissociarsi e pentirsi e che nessuno dei 5 processi o le due commissioni parlamentari sono riuscite a verificare.
Insomma il respiro drammaturgico di Aldo Morto è, stavolta più che mai, squisitamente politico, dove l'aggettivo non si riferisce naturalmente all'uso svilito che ne fa oggi la nostra classe dirigente, ma si riferisce alla vita nella città e alla responsabilità etica e, appunto, politica che ognuno di noi deve assumersi quando, dinanzi certi fatti, certe affermazioni (di giornalisti che scrivono pezzi di una retorica insostenibile e stantia), certe semplificazioni della storia, non può rimanere indifferente. Come ricorda ne La sequenza del fiore di carta Pasolini (che Timpano cita ben tre volte anche per operare una sottile critica alle posizioni espresse da Pier Paolo nella sua famosa poesia Il Pci ai giovani!!) l'innocenza non giustifica, e data la complessità del mondo, bisogna conoscerlo e anche il sottrarsi a una presa di posizione ha un significato politico. Non ci si può sottrarre non per adesione aprioristica e dogmatica da tifoseria, ma, al contrario, per un gesto di indignazione che, se manca, rende tutti complici, del passato come del presente. Timpano, con coraggio e onestà intellettuale affronta così anche il nodo, rimosso, che, finito il terrorismo di sinistra coi pentiti e i dissociati, non si è più affrontato: la legittimità politica della lotta armata. E' ancora percorribile? Lo è mai stata? Timpano trova l'unica risposta praticabile, dopo aver accennato all'inadeguatezza della classe politica contemporanea, degli slogan presi ai cantanti pop (Baglioni e Blasco) dell'attuale opposizione (oltre e dare un senso) in un diniego, ma non per motivi etici (che anzi una parte di sé - sempre il sé personaggio naturalmente - vorrebbe uccidere proprio come l'altra parte non vorrebbe) ma perchè sa che nello stato delle cose contemporanee del nostro paese non c'è spazio per alcuna reazione, armata o no che sia.
Esempio squisito di teatro politico e civile in Aldo Morto il personaggio Timpano si dispera, piange, ride, si incazza, suda, commenta, commuove, fa ridere e riflettere, e occupa pienamente quell'ultimo spazio di manovra che sembra esserci rimasto quello del dissenso privo di dogmi che critica gli opportunismi di destra come quelli di sinistra ma che restituisce dignità al comunismo che, in quanto dottrina delle condizioni della liberazione del
proletariato [cioè di] quella classe della società che trae il suo sostentamento soltanto e unicamente dalla vendita del proprio lavoro, e non dal profitto di un capitale parla proprio di Timpano e della maggior parte di noi spettatori.
Se la storia contemporanea venisse insegnata nelle scuole e all'università con l'onestà, l'ingegno e la passione drammaturgica di cui Timpano infonde i suoi spettacoli, saremmo tutti più informati, più critici e consapevoli, in una parola dei cittadini migliori e davvero liberi.
Aldo morto
oggetti di scena Francesco Givone
audio e suono Marzio Venuti Marzi
disegno luci Dario Aggioli
collaborazione alla regia Elvira Frosini, Alessandra Di Lernia
drammaturgia, regia, interpretazione Daniele Timpano
produzione amnesiA vivacE
con il sostegno di Area06
in collaborazione con Cité Internationale des Arts, Comune di Parigi
Dittico sulla specie (parte 2): L'origine della specie_da Charles Darwin
Ancora un altro percorso di ricerca di analisi e di messa in scena sulla specie homo sapiens, stavolta dal punto di vista della scienza ottocentesca, quella classica che ha prodotto nelle sue massime altezze la teoria dell'evoluzione della specie di Darwin, icona dell'immaginario
collettivo contemporaneo, ancora legato a un fare scienza di derivazione illuministica che rimane radicata nella nostra acculturazione scientifica di italiani, davvero scarsa.
Gli scienziati sono i nuovi religiosi, che parlano la lingua matematica con la quale come insegnava Galilei è scritto il libro della natura.
A Teatro sotterraneo non interessa la scienza nelle sue implicazioni epistemologiche. Interessa l'uomo, la sua posizione nel mondo e nell'universo. La sua aleatoria comparsa sulla Terra, senza un fine che non sia quello della riproduzione della specie per selezione naturale popolando un Pianeta il cui scopo non è certo quello di ospitarci. Anzi sull'eventualità della nostra estinzione - come ricorda lo spettacolo - Darwin non si è mai opposto... Così mentre una voce registrata definisce alcune parole del nostro
vocabolario da specie ad animale e habitat , Darwin in persona compare in scena e dopo aver letteralmente sparato a due scimmieschi Adamo ed Eva che stavano imparando a dire qualche prima parola ispirandosi al libro di Darwin più famoso, quell'Origine della specie del 1857 (nel quale Darwin non accenna all'origine animale dell'uomo) si confronta con diversi personaggi e animali (indicati col rapido cambio di una t shirt sulla quale è scritta il loro nome), ognuno dei quali, da Ghandi a Hitler, da Papa Woytila all'Ornitorinco (notoriamente dalle caratteristiche fisiche contraddittorie) si relaziona a Darwin mettendone in discussione i principi e le idee riflettendo sulla natura umana, sull'origne e sulla fine dell'uomo senza perdere mai il punto di vista essenziale la necessità dell'uomo, per sopravvivere, di adattarsi all'ambiente simbolico quello che egli stesso crea e che viene studiato dall'antropologia culturale (altra sceinza nata nell'ottocento) Lo illustra Mickey Mouse in persona (un costume indossato da uno dei performer) all'ultimo Panda vivente (altro costume): per sopravvivere bisogna adattarsi all'ambiente simbolico e modificarsi, proprio come il segno grafico di Topolino è cambiato degli anni subendo un continuo arrotondamento del tratto e una maggiore antropomorfizzare. Purtroppo per il PAnda è troppo tardi e chiede e ottiene (in un dialogo proiettato su schermo) una morte dignitosa che arriva sotto forma di iniezione letale.
Che si parli della nostra estinzione o di quella delle specie animali con le quali entriamo rovinosamente in contatto la storia della specie umana ha sempre a che fare con la morte e l'omicidio e con la nostra tendenza ad atteggiarci a dio come nella sequenza di un gioco per pc video-proiettata nella quale, in modalità dio, gli scienziati costruiscono un ecosistema, lo lasciano evolvere per suo conto e poi lo distruggono con un cataclisma della stessa portata del Big Bang L'unica speranza rimane quella di altre forme di vita di altre evoluzioni, di altri bipedi, cioè di altri noi stessi proiettati in un futuro quando esploratori in tuta spaziale su un paineta altro (o sulla Terra ormai senza vita) qualche scienziato pianterà il seme estratto da un cactus e darà nuova vita a una zolla di terra.
Il cerchio si chiude
e il gioco crudele della sopravveinza delle specie (del quale vediamo alcune bellissime e terribili imagini videopriettate) potrà riprendere stavolta si spera con un esito diverso.
Teatro sotterraneo continua coerente nel suo percorso di esplorazione della nostra condizione di animali sapiens risvegliando una coscienza critica nello spettatore (a uno dei quali fanno dono concreto del libro di Darwin autografato dal suo autore in persona) in un'era di acquiescenza e conformismo che dilaga sempre più erodendo quel po' di immaginario collettivo che ci rimane.
Sempre attenti al dettaglio (la tuta spaziale, la maschera di Darwin, il set di attrezzi coi quali vivisezionare una cactus) Teatro sotterraneo propone uno spettacolo diretto ed esplicito che insinua nel pubblico la curiosità e il dubbio con un impegno civile di squisita intelligenza.
Dittico sulla specie (parte 2): L'origine della specie_da Charles Darwin
creazione collettiva Teatro Sotterraneo
in scena Sara Bonaventura, Iacopo Braca, Claudio Cirri
scrittura Daniele Villa
luci Roberto Cafaggini
suono Francesco Canavese
costumi Lydia Sonderegger
animazione video Marco Smacchia, Alberto Berliocchi
supervisione video Jacopo Mariani
maschera Francesco Givone e Crea Fx.
disegno e grafica cartolina Marco Smacchia
produzione Teatro Metastasio Stabile della Toscana/Teatro Sotterraneo
col sostegno di Centrale Fies, Regione Toscana