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SHORT THEATRE 2011 9 SETTEMBRE

Una manifestazione ricca di sorprese

Una manifestazione ricca di sorprese

La seconda giornata a La pelanda, il nuovo spazio polifnzionale del Museo Macro di Roma della manifestazioen Short Theater si è svolta all'insegna del successo, di pubblico, davvero numeroso, e dello sfrozo organizzativo, che ha saputo ovviare alcuni problemi di rodaggio della neo struttura (tra cui un allarme antincendio che scattava asproposito). Qualche ritardo nell'orario degli spettacoli non ci ha permesso di recnesire tutti quelliche avremmo vuluto, ma la serata è stata ricca di continue sorprese.

 

Pinters' Anatomy: la lucida crudeltà di ricciforte

Pinter's Anatomy nasce su commissione del critico Roberto Canziani per il Teatro CSS di Udine che, per una rassegna dedicata a Harold Pinter, ha chiesto a RicciForte un contributo originale (non tratto cioè dai testi del drammaturgo inglese).
Spettacolo, pièce, istallazione, ogni definizione sta stretta a una messa in scena scomoda per gli attori quanto per il pubblico. I primi  chiamati dai due autori/registi a recitare nudi, nel corpo e nello spirito. I secondi chiamati ad assistere al baratro che sta sotto le chiacchiere di tutti i giorni e spinge ad entrare nelle stanze chiuse dell'oppressione come recita la motivazione per il Nobel che Pinter ricevette nel 2005, tre anni prima di morire.
La denuncia dell'oppressione di Pinter trova terreno fertile nella poetica di RicciForte da sempre interessati a raccontare l'incapacità o l'impossibilità alla vita di adolescenti (anagrafici o psicologici che siano) già magistralmente affrontato in Macadamia Nut Brittle. Stavolta la drammaturgia e la messinscena sono, se possibile, ancora più  dure, d'impatto, mettendo lo spettatore dentro lo spettacolo.
Ogni spettacolo è per un massimo di 15 spettatori (erano addirittura 3 per quello di Udine) costretti ad assistere allo spettacolo nello stesso ambiente in cui si muovono gli attori a pochi centimetri di distanza gli uni dagli altri.
Alcuni spettatori sono coinvolti maggiormente quando, a un certo punto dello spettacolo, gli attori si pongono di fronte a tre di loro e, prendendo spunto dall'aspetto fisico e dal loro modo di vestire (in una notevole improvvisazione all'impronta) si appropriano per così dire delle loro identità diventando interpreti degli spettatori, ai quali viene chiesto anche di scrivere, su un'etichetta, di quelle che si mettono sui cadaveri, nome cognome e una data per loro significativa.
La una messinscena incentrata sulla memoria come luogo precipuo della narrazione. Una memoria cui si crede di poter accedere facilmente (un ragazzo e una ragazza raccontano la loro prima volta, ma i ricordi non coincidono e forse non si riferiscono nemmeno l'uno all'altra) ma che si scopre tradire se stessa e poi essere impiegata come arma di mistificazione, di de-costruzione e ri-costruzione di una identità fondata su un passato inesistente. L'unica coordinata certa è quella della corporeità, che, però, sganciata da una identità sociale, individuale e privata ha senso solo come corpo organico, che passa non solo attraverso il sesso (raccontato) ma anche attraverso una violenza (i calci, gli sputi) che non è già quella che i personaggi cercano per ricordarsi di essere vivi, come succede in Macadamia, ma quella del rifiuto che pervade la società in cui viviamo. Il rifiuto per il pensiero  autonomo, non standardizzato dai media (che ci propinano dei  valori-merce privi di vita), rifiuto per il diverso (e in una società così plasmata dai media si ha il terrore di essere dieresi), rifiuto per i migranti  per i froci e i drogati che finiscono malamente in custodia delle forze dell'ordine (e le testimonianze sulle vicissitudini che hanno portato alla morte dei detenuti non coincidono mai). Una società dove la ricerca della verità non è più una esigenza sentita ma dove l'(an)estetizzazzine televisiva (la colonizzazione dell'immaginario collettivo) ha fatto della menzogna l'unica forma di verità cui si può sperare di approdare. Da questa prospettiva Pinter's Anatomy costituisce un monumento alla fatica di adattarsi ai finti obbiettivi di felicità  proposti dai media la fatica di abdicare ai propri vissuti per abbracciare una frontiera escatologica in cui ci si senta “sdoganati: "A place where nobody dared to go" (un posto dove nessuno osa andare)1.
Le identità vengono respinte, rimangono solo i corpi, denudati, deformati da mani che ne sfigurano il viso tirando zigomi, palpebre e labbra, mani che costringono a baci forzati, mani intinte nei tamponi di inchiostro  che lasciano impronte su tutto il corpo; mani che applicano delle bambole dalle fogge antiche alla testa con metri di pellicola trasparente avvolta intorno,  fino alla ...risoluzione finale che trasforma i personaggiperformer in quattro cadaveri (portando il cartellino firmato dagli spettatori), infilati in dei sacchi neri coi quali, giocando alla corsa col sacco, cadono morti come muoiono l'individualità, la memoria storica, personale e collettiva, muore il senso critico a favore di un superconformismo di massa ineluttabile. Uno spettacolo dal fortissimo impatto emotivo, dal quale si esce scossi e turbati, proprio come Stefano Ricci e Giovanni Forte voglio che il loro pubblico si senta.

Ricci/Forte
PINTER’S ANATOMY
con Marco Angelilli, Pierre Lucat, Andrea Pizzalis, Giuseppe Sartori, Anna Terio
Stylist Simone Valsecchi
regia Stefano Ricci
benvenuti produzione
in collaborazione con css Udine


1) RicciForte in Le ambiguità di Pinter's Anatomy di Andrea Conti Tgcom.mediaset.com 1 12 09

 


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Siamo Nel distastro ma possiamo ancora sperare.

Nel Disastro ottavo capitolo della decalogia  Il migliore dei mondi possibili  è una piéce corale, come ci spiega il suo stesso autore e regista a inizio spettacolo, che attraverso la danza, la voce e la parola mette in scena il surreale e il grottesco di un vivere come quello nostro contemporaneo, caratterizzato dal disastro, individuale e collettivo.
Sullo sfondo di una contemporaneità che, a detta di una famosa costumista è ben simbolizzata dal fallo (elemento figurativo presente nello spettacolo sotto forma di falli giocattolo variamente spostati e gettati sulla scena) gli attori e i danzatori, le attrici e le danzatrici, di Roberto Castello incarnano il peso, e l'ironia, di un vivere quotidiano che ha perso i confini tra rappresentazione ed esistenza, per cui più che dire quel che si è, si è quel che si dice. Questa retorica del dire  interseca il piano personale, lavorativo (una ballerina che chiede a un amico se gli è piaciuto lo spettacolo, anche se non è un critico)  ed affettivo (un uomo che chiede a un compagno immaginario,  mentre mima l'atto di masturbarlo, di dirgli che lo ama) con quello interpersonale )un gruppo di amici si salutano, si abbracciano, si picchiano, si insultano, senza soluzione di continuità). Manca il piano pubblico, completamente svuotato di valore e sostituito dal mero accumulo della ripetizione di una stessa identica storia, uno stesso identico vissuto (clamoroso il momento in cui, rivolti al pubblico ocme parlassero ad un amico tutti gli attori, contemporaneamente, quasi all'unisono, raccontano del ménage col partner col quale si fa sesso solamente la domenica pomeriggio...). La fallocrazia pur messa alla berlina rimane elemento centrale in un universo nel quale non è di esclusiva pertinenza eterosessuale.
Tra assoli di danza, performance e momenti corali, la voce degli attoriperfomer funziona come suono prima ancora che come parola. Una parola doppia non solo perchè ambigua e svuotata di significato ma perchè sdoppiata in lingua italiana e lingua inglese in un doppio senso di comunicazione per cui si recita nell'una e si traduce nell'altra, verbalmente o anche con didascalie proiettate. Una parola scollata dal gesto di chi la dice, che usa una sorta di onomatopea o dove il gesto si fa muto e le intenzioni recondite sono spalleggiate da un testo proiettato in didascalia.
Una parola vuota di significato, pura retorica come quando assistiamo a una performance coreografica, di notevoli doti fisiche, egli altri attori eseguono un improbabile esercizio esegetico, prima in inglese e poi in italiano, dove i gesti astratti della danzatrice diventano preoccupazioni recondite, sempre più legate alle logiche da gossip della retorica  da evento televisivo.
Uno spettacolo splendido, nella sua semplicità e immediatezza, con un impiego squisitamente politico del teatro, della danza e della performance dove l'aggettivo non si riferisce alle ideologie ma all'agire comune del cittadino nella società cui fa da contraltare l'azione tra performer e pubblico chiamato una volta tanto non solamente ad assistere ma anche a pensare e dove l'intrattenimento si sposa col pensiero critico. Uno spettacolo che fa ridere perchè dinanzi le proprie nevrosi messe a nudo la risata rimane l'unico elemento di difesa del pubblico. Uno spettacolo che nel proporre un intelligente e riuscito esercizio di lettura critica del reale, costituisce una forma di speranza, se non altro (ma non solo) per il teatro italiano che  con Nel disastro dimostra godere ancora di ottima salute. Roberto Castello e i suoi attori/danzatori ce lo mostrano con un entusiasmo contagioso. Il pubblico capisce, apprezza e applaude riconoscente.


NEL DISASTRO
parte VIII de IL MIGLIORE DEI MONDI POSSIBILI
progetto, regia, coreografia Roberto Castello
con Roberto Castello, Alessandra Moretti, Mariano Nieddu, Caterina
Basso, Claudia Catarzi/Barbara Toma, Stefano Questorio/ Dario La Stella.
disegno luci Gianni Pollini
video e testi ALDES
materiali scenici e costumi Giulia Roncucci
produzione ALDES e SPAM!
con il sostegno di MINISTERO per i Beni e le Attività Culturali / Dip.

Spettacolo, REGIONE
TOSCANA/Sistema Regionale dello Spettacolo, Fondazione Monte Dei

Paschi di Siena ,
Provincia di Lucca, Comune di Capannori

 


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Il sangue del teatro, il teatro del sangue

Sergi Faustino
NUTRITIVO


É meglio un sanguinaccio fatto col sangue di un maiale che è
stato tutta la propria vita in una gabbia e ha mangiato solo mangimi o un sanguinaccio fatta col sangue di una persona che è stato più o meno libera e che ha mangiato di tutto? È davvero così forte, se consideriamo che la maggior parte delle persone che vedono lo spettacolo si sono tolte il sangue almeno una volta (anche fosse solo per un’analisi) e che hanno mangiato maiale alimentato coi mangimi? (Sergi Faustino)

Prima di entrare in sala, Sergi Faustino, già truccato per lo spettacolo, con la testa completamente ricoperta di biacca, e il volto dipinto di bianco e di nero, come una rockstar,  passa tra il pubblico, in fila all'ingresso, offrendo delle tartine al sanguinaccio. Dopo, il pubblico si accomoda in sala accoltoda un palco spoglio, ad esclusione di un piccolo tavolo sul quale campeggia un fornello elettrico e un piccolo tegame. Poi, Sergi ci informa, in spagnolo, che farà un prelievo di sangue e che se qualcuno è impressionabile può chiudere gli occhi, il prelievo durerà pochi minuti.
Senza nemmeno accorgercene lo spettacolo è cominciato e verterà su due direttive apparentemente avulse l'una dall'altra. Una concreta e fisica: durante lo spettacolo, tra un racconto e una coreografia, l'attore preparerà del sanguinaccio usando tra gli ingredienti il sangue che si è fatto prelevare.
Gli effluvi del composto raggiungono gli spettatori che, per tutto il tempo dello spettacolo, respirano anche quell'ingrediente umano. L'altra direttiva è drammaturgica e narrativa: Sergi dedica lo spettacolo a due musicisti dei Black Metal tra aneddoti biografici (sono entrambi stati assassinati da altri musicisti che avevano preso il satanismo, normalmente espediente di scena, un po' troppo alla lettera) le digressioni semiserie sulle loro vite, e relative morti.  A una persona cattiva, che si rivolge in vita a satana, commenta Sergi, non si può augurare l'Inferno, per lei sarebbe un premio, ma si deve augurare il paradiso... Chi, in Paradiso, è in grado di trattare con persone come loro? Lo spettacolo si dipana sulle ipotetiche avventure di musicisti che magari picchiano le proprie fidanzate (pronte al perdono per masochismo e sottomissione), truccano le automobili,  coinvolgendo uomini d'affari in mortali incidenti stradali.  Tra un racconto e l'altro, tutti in spagnolo, la cui maggior parte, ma non l'interezza, sono proiettati in traduzione italiana su uno schermo) tra un momento di pura performatività coreografica (chiamarle coreografie sarebbe troppo) il sanguinaccio con sangue umano viene insaccato, trasformato in salsiccia, cotto la tegame, spalmato su una baguette e offerta al pubblico, nell'interrogativo finale che è quello che abbiamo riportato in esergo.
Uno spettacolo spiazzante, a tratti anche fastidioso (per quell'odore che penetra nel naso prima e poi nei polmoni) che imbastisce un percorso a doppio senso di circolazione dal concreto all'astratto (il racconto che si trasforma in momenti coreografici o performativi, come quando simula gli ultimi attimi di vita dell'uomo d'affari coinvolto nell'incidente automobilistico) e dall'astratto al concreto (il tabù culturale del sangue umano ma  in sala qualcuno ha mangiato il sanguinaccio cucinato col sangue di Sergi) in un cortocircuito tra attore e personaggio, non in chiave biografica, ma organica nel quale Sergi sembra indicare come la cosa più importante non sia il racconto ma la concretezza dei corpi, dell'attore e anche dello spettatore.
Un'esperienza forte, diversa, per un teatro sicuramente poco borghese nella forma e nei contenuti più vicino alla performance che alla drammaturgia ma efficace e coerente con le proprie premesse poetiche, riportate nelle note di regia.

Visto il 09-09-2010