Dopo una breve pausa e il trasloco dall'India alla Pelanda riprende la seconda tranche di Short Theatre 2012 che, fino a sabato, proporrà al pubblico romano una serrata selezione della scena contemporanea italiana ed europea.
Lo spettacolo che ha aperto nella nuova location (l'ex matattoio di Roma, riadattato a spazio espositivo polifunzionale, uno dei pochi esempi di archeologia industriale romana) è stato Utopia di e con Leo Bassi.
Leo Bassi figlio d'arte, la sua è una famiglia circense fondata 150 anni fa in
Italia da un ex-garibaldino, newyorkese di genitori
franco-italiani, dopo essersi imposto alla scena mondiale come acrobata giocoliere, negli anni
'70 lascia improvvisamente il circo e porta la sua arte in strada, proponendo degli spettacoli tra il comico, l'arte circense,
l'agitazione sociale e il teatro.
Utopia costituisce una summa dell'arte di Bassi e al contempo una rifondazione politica del teatro e dell'impegno civile.
Dopo essersi presentato in scena come un cieco, saggiando lo spazio che lo circonda col classico bastone, che agita sopra le teste delle prime file di platea, Bassi ammette di vederci benissimo (quel travestimento è una metafora della sinistra di oggi...) e di voler dedicare lo spettacolo all'utopia, quella del milleottocento che abbiamo perso dopo la prima guerra mondiale, quando ci siamo divisi in tutta una serie di ismi e isti (comunisti, fascisti). Tra critiche feroci ai banchieri nostrani e spagnoli, riti vodoo come protesta concreta (con tanto di uova gettate sulle miniature di Monti e accoliti), tra feroci martellate a modellini di automobili i cui originali costano centinaia di migliaia di euro (cui dà fuoco e poi spaventa il pubblico minacciando di dare fuoco al teatro), lancio di uova al pubblico (svuotate, ma il pubblico non lo sa) Bassi si muove in quell'ambito del clown e del giullare, quello in Italia squisitamente percorso da Dario Fo, con una passione, una padronanza e una verve comica inesauribili.
Che si presti a uno spogliarello per mostrarci cosa ha imparato nel "corso per diventare gay", quando ha riconosciuto in un gay pride a Madrid la passione politica che la sinistra non ha più da tempo, chiedendo poi scusa per aver utilizzato in maniera superficiale e ridanciana un tema serio come quello dei diritti lgbt (mi serviva una scusa per spogliarmi e indossare l'abito da clown bianco...) che ci inganni spacciandosi per suonatore di bicchieri, commentando che in fondo viviamo in un mondo di apparenze e poi instaura un parallelo tra la nuova pubblicità del Mc Donald spagnolo, che presenta dei menù vegetariani, le ricette economiche di Monti e alcuni dogmi del cattolicesimo (la verginità della madonna) Bassi dissacra, critica, esorta, risveglia le coscienze, fa spettacolo e ci racconta la sua storia che diventa Storia.
Storia del teatro, del circo, della politica, culturale. E mentre provoca, irride, inneggia a una religione dove dio è la piccola paperella gialla compagna di tanti bagnetti, un dio non
paternalista, fragile ma resistente, non vendicativo, non dogmatico, concedendosi la retorica chapliniana quando racconta di come suo nonno, durante la prima guerra mondiale, salvò un cane che si era perso tra le trincee. Poi, senza retorica, si professa comunista, e fa il pugno e sventola la bandiera rossa, assieme e a quella rainbow della pace (e del movimento lgbt), insinuando il dubbio mentre infonde un po' di speranza, dicendo che la speranza è l'ultima a morire.
E se questa constatazione è già una sconfitta politica Bassi ha almeno il pregio di farcene rendere conto.
Leo Bassi (Spagna)
Utopia
di e con Leo Bassi
Voce di Paolo Musìo paga almeno in parte la sorte di essere stato programmato subito dopo lo spettacolo di Bassi.
Usciti dalla solarità sgangherata di un clown si fa fatica a entrare nell'orizzonte tutto mentale di una drammaturgia astratta, ostica, autoreferenziale.
Un testo di difficile comprensione, e di scarso interesse narrativo, che vale perla sua verve affabulatoria e per la bravura performativa di Musìo che sa arrampicarsi su una scala con continui, impercettibili spostamenti senza sosta, che lo fanno muovere attraverso e oltre la scala.
A rischio di sembrare ostili verso questa forma di drammaturgia contemporanea, non possiamo tacere l'impressione ricevuta di una certa pretenziosità dell'operazione, dal testo al far firmare i movimenti di Musìo all'artista Thorsten Kirchhoff e di chiamarli visualizzazione.
Non abbiamo alcuna difficoltà ad ammettere che si tratta di un limite di chi scrive proprio come non abbiamo difficoltà ad ammettere che non siamo in grado di restituire un testo nel quale proprio non siamo riusciti ad entrare.
Paolo Musìo / Thorsten Kirchhoff
Voce
testo, recitazione e regia Paolo Musìo
visualizzazione Thorsten Kirchhoff
suoni Bruno Franceschini
produzione Idiòt
testo, recitazione e regia Paolo Musìo
visualizzazione Thorsten Kirchhoff
suoni Bruno Franceschini
produzione Idiòt
Compagnia CapoTrave / Alessandro Roja / Pierfrancesco Pisani
Misterman – secondo studio
Avevamo già visto la mise en espace di questo testo andata in scena al teatro Belli di Roma lo scorso Marzo. Questo secondo studio, come viene presentato nel programma di sala, gode di una maggiore concisione e unità.
E' più evidente il senso del testo, del quale la volta scorsa lamentavamo la mancanza, il donde e il perchè.
Thomas, il protagonista, stavolta è più chiaramente la vittima di un fervore religioso nel quale il giovane si rifugia per sottrarsi a un paese che lo prende in giro lo irretisce e lo ha probabilmente ingannato, alla morte del padre.
La furia incontrollabile che già lo abbiamo visto impossessarsi di lui con un amico, nel garage del quale trova delle immagini sconce, con un cane che abbai, e Thomas uccide a calci, o con la madre stessa, rea di non volere indossare un maglione in più per proteggersi dall'umidità della casa, si riversa, senza che lui la sappia controllare, contro una ragazza, che lui vede come un angelo, che ha accettato la sua corte tenera sol per scommessa quando scopre l'inganno.
E visto che Thomas ha la mania di registrare tutto su cassetta, fa ascoltare la registrazione dell'omicidio, la sera del ballo della scuola dinanzi tutti i complici di uno scherzo crudele.
Purtroppo il testo stesso sembra scivolare nel facile moralismo che attribuisce a Thomas, quando ci mostra la padrona dell'emporio, la signora Clery, provarci con Thomas, di modo che l'occhio moralista con cui Thomas guarda gli abitanti di Inishfree finisce per coincidere con quello dell'autore del testo che sembrerebbe voler criticare il fondamentalismo del protagonista, approdando a una irredimibile ambiguità di fondo.
Da un punto di vista drammaturgico la messinscena oscilla tra un impianto fedele al testo, un monologo a più voci ,e una soluzione altra che vede i personaggi comparire in voce nelle registrazioni fatte da Thomas su nastro.
Il primo versante, dove l'interprete è chiamato a recitare tutti i personaggi, costituisce il punto debole dello spettacolo, sia perchè l'attore non è all'altezza del ruolo, sia perchè le indicazioni di regia gli fanno caratterizzare i personaggi con tratti troppo smaccatamente macchiettisti (una per tutte la signora Clery che Roja interpreta come fosse un ragazzo effeminato e non una donna che cerca di fare la civetta).
L'impiego dei dialoghi riportati su nastro è una soluzione che andava senz'altro sviluppata, venendo in soccorso ad alcuni momenti dello spettacolo come quando Roja interpreta due personaggi con imbarazzanti e old style repentini cambi di sedia, lasciandoglisolo i monologhi di Thomas gli unici che Roja è in grado di eseguire con una certa precisione.
Ma, alla fine dello spettacolo, è il testo a mancare di una vera urgenza narrativa e a inficiare qualunque tentativo drammaturgico di portarlo in scena. Certamente una regia meno superficiale nel restituire i personaggi e un impiego più deciso del dispositivo narrativo delle voci registrate (dalle quali si distingue, allora come ora, quella splendida di Daria Deflorian, che interpreta la madre di Thomas) possono migliorare ancora sensibilmente un lavoro che fatica sta iniziando a trovare la propria strada.
Però c'è da chiedersi se il testo di Enda Walsh meriti tutto questo lavoro.
Compagnia CapoTrave / Alessandro Roja / Pierfrancesco Pisani
Misterman – secondo studio
di Enda Walsh
traduzione di Lucia Franchi
regia Luca Ricci
scene Katia Titolo
musiche originali ed effetti sonori Antonello Lanteri
voci off di Daria Deflorian, Irene Splendorini
e di Veronica Cruciani, Giordano De Plano, Andrea Di Casa, Federica Festa, Lucia Franchi, Francesco Montanari, Alessandro Riceci
disegno luci Gianni Staropoli
aiuto regia Elisa Marinoni
organizzazione Laura Caruso
produzione Capotrave e Pierfrancesco Pisani in collaborazione con Infinito srl con il sostegno della Regione Toscana
Pathosformel
An afternoon love
Questa prima serata alla Pelanda si è chiusa con una performance elegiaca e minimalista di Pathosformel, la compagnia veneta che ci aveva abituati a ben altre performance, complesse anche dal punto di vista tecnico (ci riferiamo a lavori come La timidezza delle ossa o The Skinny Distance).
Stavolta, invece, in scena un uomo e il suo pallone da basket.
Un rapporto tra un essere umano e un oggetto che diventa un'estrusione del suo corpo, un'amplificazione della sua mano. Un allenamento, un'esplorazione di quanto quell'uomo e quel pallone possono fare insieme.
Non l'esibizione di un giocoliere che raggiunge e supera i limiti di un esercizio ginnico ma la precisione di un uomo che sa come giocare a basket e si allena.
L'allenamento. La resistenza fisica. L'improvviso calo di energia. La mestizia. Lo sdraiarsi per terra dopo aver abbandonato il pallone che, per strane pendenze della sala si avvicina spontaneamente all'uomo (o è stato forse spinto?). Un rapporto che appare naturale nel senso di non mediato da alcuna convenzione, da alcuna sovrastruttura e che invece, ci pare di capire, indaga propri sulla sovrastruttura che regge palla e essere umano, strumento e il suo manipolatore, rapporto mediato e non naturale simboleggiato da un'aria di opera classica che viene ripetutamente suonata da una cassetta registrata.
Suggestive le note di regia che danno a questo spettacolo minimalista ma per niente pretenzioso ancora più spessore, ancora più emozione:
Il rapporto tra un uomo e il proprio oggetto ha la stessa
complessità relazionale che c’è tra due uomini? Sembra un combattimento
feroce con l’oggetto ma diviene la più persuasiva delle conquiste; si
carica di un vissuto umano per tornare ad essere improvvisamente solo
allenamento: è quasi una coreografia a due, che disegna il rapporto
sempre in movimento che abbiamo con l’altro.
Pathosformel
An afternoon love
di Daniel Blanga Gubbay, Paola Villani
con Joseph Kusendila
e con la collaborazione di Andrea Corsi
produzione Pathosformel
coproduzione Centrale Fies, Workspace Brussels
in collaborazione con Contemporanea Festival / Teatro Metastasio della Toscana
Residenze artistiche Workspace Brussels@Kaaitheater, Workspace Brussels@Les Brittines, Tanzfabrik (Berlin)
Con il supporto di APAP network – Culture Programme of the European Union
Si ringrazia CANGO Cantieri Goldonetta Firenze
Pathosformel fa parte del progetto Fies Factory