A Short Theatre la compagnia Motus, fondata nel 1991 da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, ha presentato il trittico W. tre diversi atti performativi, distribuiti nell'arco della giornata, due dei quali a ingresso gratuito. Tre diversi momenti distinto ognuno da un diverso avverbio inglese Where, When e Who. Tre momenti performativi che si interrogano sulla stessa questione: cos'è che ci preoccupa di più dell'immediato futuro? La risposta è sempre la stessa: il controllo, la riduzione
materiale o surrettizia della libertà (politica e artistica) come si legge nel programma di sala.
Where è una performance che ha le parvenze dell'assemblea. Il pubblico viene fatto sedere per terra, su dei cuscini, intorno ai e alle performer. All'abolizione del classico spazio del teatro borghese tra platea e palcoscenico non corrisponde però alcun cambiamento dei rapporti tra performer e pubblico che viene chiamato ad assistere e non a partecipare.
Momento capzioso, terribilmente retorico nelle domande poste e nelle risposte date sulle leggi dello stato borghese, sulla creatività dell'artista il cui status è paragonato al nomade migrante, una visione niente affatto moderna ma elitaria e romantica, sul limite come spazio da superare, sulla costrizione come ispirazione artistica, senza una vera analisi politica o economica della situazione dell'industria culturale (per ridurre in questi termini la questione del teatro e delle arti performative di oggi) dove i performer e le performer si distribuiscono in maniera sessista gli interventi più personali, l'amore e l'empatia sono ovviamente detti dalle perfomer ai perfomer invece resta l'azione e (anche se non esclusivamente) la teorizzazione.
L'unico intervento con un suo peso specifico è quello di una ragazza che denuncia lo sfruttamento da parte della Biennale di Venezia degli stagisti che lavorano gratis e la sua decisione conseguente di dedicarsi a progetti altri.
Altro grosso limite della performance è nell'aspetto tecnico: un'amplificazione (tutti o quasi parlano tramite microfoni) che restituisce una voce impastata e poco distinguibile, disturbata da una retoricissima musica hip hop usata come tappeto sonoro (perché?!) che dovrebbe fare tanto ggiovane o alternativo e che dimostra il conformismo stantio a istanze politiche ormai svuotate di ogni significato attuale e riconoscibili come stilemi vecchi di almeno 40 anni. nemmeno il linguaggio usato è esente da questa retorica naif e innocua: in alcune parole scelte per descrivere il proprio lavoro (eterotopie danzanti) o la domanda centrale intorno cui si sviluppa il trittico che abbiamo tradotto nel semplice cosa ci preoccupa di più dell'immediato futuro ma che originariamente è stata formulata come qual è la prefigurazione futura che più ci intimorisce? dove il problema, beninteso, non è la complessità del lessico ma lo scollamento tra questa complessità e la capacitò delle parole di individuare cose diverso e nel fluire della realtà o, almeno, di mostrare le stesse cose da punti di vista diversi. Invece l'autoreferenzialità sembra essere il più grande limite, estetico e politico, di questo atto-assemblema, vagamente autoritario la cui costrizione imposta al pubblico (il modo di sedere, il modo in cui ci dicono di uscire) non serve all'autocoscienza ma semplicemente al farsi della performance.
When costruito sulle paranoie di un feticcio della cultura alternativa Philp K. Dick e il suo plurivisitato Un oscuro scrutare allestisce una splendida macchina performativa che traccia in tanti modi diversi una distinzione tra un qui e un altrove, tra un dentro e un fuori, tra un'idea e la sua reale collocazione nella realtà.
Un regista manovra il suo pc nel quale scrive un diario (le cui frasi vengono videoproiettate) mentre l'attrice in collegamento video (tramite una videocamera le cui immagini vediamo sullo schermo) e audio (tramite un radio microfono collocato in modo da sentire anche i suoi battiti del cuore) dall'esterno della sala (sulla sommità di un edificio adiacente per la precisione), mettono in scena un tenue racconto, nel quale lei viene prima fermata perquisita e rinchiusa dalla polizia e poi consiglia al regista di fuggire, scappare, invertendo così l'ordine che vuole sia il regista a istruire l'attore (l'attrice) e non il contrario. Attore e regista sono due personaggi interpretati magnificamente dai perfomer che abbiamo visto nel primo movimento teorizzare sui rapporti tra arte vita e politica e questa familiarità precedente contribuisce a dare spessore all'azione scenica come esempio concreto del pensiero critico-teorico precedentemente espresso.
Allo spettatore più attento, nello spettacolo (completamente sottotitolato in inglese per il pubblico che non parla italiano, ma anche per una certa anglofilia che caratterizza W. nella sua interezza) non sfuggiranno alcune frasi e alcune parole dette durante l'assemblea che ritornano adesso con un significato più preciso collocate all'interno di un racconto.
La funzione scopica dello spettatore diventa metafora della società della sorveglianza nella quale viviamo ma la metafora può avere molte altre letture.
Sintomatico che gli unici applausi che i due performer si prendono siano quelli mediati dalla videocamera: il pubblico in sala i due performer fuori negli ambienti della Pelanda, ripresi dalla videocamera mentre si inchinano.
Ben congeniato, costruito ed eseguito When si conclude con una lunga ma significativa e pertinente citazione di Michel Focault pronunciata dallo stesso in un programma radiofonico che ragiona intorno al corpo:
Il mio corpo, in effetti, è sempre altrove, è
legato a tutti gli altrove del mondo e, in verità, è altrove rispetto al
mondo. E’, infatti, intorno a lui che le cose si dispongono, è rispetto
a lui – e rispetto a lui come rispetto a un sovrano – che ci sono un
sopra, un sotto, un destra, una sinistra, un avanti, un indietro, un
vicino, un lontano. Il corpo è il punto zero del mondo; laddove le vie e
gli spazi si incrociano, il corpo non è da nessuna parte: è al centro
del mondo questo piccolo nucleo utopico a partire dal quale sogno,
parlo, procedo, immagino, percepisco le cose al loro posto e anche le
nego attraverso il potere infinito delle utopie che immagino. Il mio
corpo è come la Città del Sole, non ha luogo ma è da lui che nascono e
si irradiano tutti i luoghi possibili, reali e utopici.
Michel Foucault, "Le Corps utopique", Conférence radiophonique sur France-Culture.
Chi si unisce alla danza si lascia trasportare dall'emozione di provare un contatto intimo con le stesse persone con cui normalmente si sta seduti accanto senza lasciarsi sfiorare e dalle quali qui si tocca e si viene toccati, si abbraccia e si viene abbracciati, sperimentando un contatto umano (e certi abbracci sono di una intensità e di una immediatezza che chi li ha dati e ricevuti se li porterà nel cuore per sempre) cullato dalle note di George Winston, nella versione di Roberto Razzetti, della poesia di Jim Morrison Bird of Pray.
La danza si conclude in terra, dove qualcuno ti sfila il cappuccio e un piccolo elicottero giocattolo radiocomandato ti sorvola (ricordando il controllo) ma stavolta si limita a rinfrescarti smuovendo l'aria.
Motus
W. 3 atti pubblici
concept Daniela Nicolò, Enrico Casagrande, Silvia Calderoni
regia Daniela Nicolò & Enrico Casagrande
partecipano Enrico Casagrande, Silvia
Calderoni, Marco Baravalle, Ciro Colonna, Giorgina Pilozzi, Camilla Pin,
Laura Pizzirani, Chiara Colasurdo
in collaborazione con Angelo Mai Altrove Roma,
Ex Asilo Filangieri / La Balena Napoli, Macao Milano, Nuovo Cinema
Palazzo Roma, Sale Docks Venezia, Teatro Valle Occupato Roma
suono Massimiliano Rassu
video Aqua-Micans Group
produzione Motus_Making The Plot 2011-2068 con Centrale Fies-Dro
Immobile Paziente
Come liberarsi di Bela Bartok in cinque movimenti
Un ambiente colorato e decorato da fiori finti, piante finte, girandole coi colori dell'arcobaleno. Una scala di alluminio, un basso tavolino, su un quadrato di erba finta alcuni degli oggetti di scena. Da un mini stereo una voce femminile sciorina un pentalogo:
1-iniziare dalla bocca
2-lasciare per ultime le braccia
3-non uscire dal quadrato
4-ricordarsi di bere
5-alla fine spegnere il registratore
Ah, già.
Al centro di questa scena una donna, legata mani e piedi col nastro adesivo trasparente a una sedia di plastica di quelle da giardino,un altro giro di nastro sul torace, subito sotto i seni, che la tiene legata alla sedia, e un giro attorno alla bocca.
Una consona colonna sonora allo stato di costrizione della donna. Ognuno dei movimenti del Quartetto è dedicato a un diverso momento performativo.
E' poi la volta del nastro intorno la vita che le sega il busto, le solleva i seni prima di liberarsi anche di quella stretta.
Così libera prima prende con la bocca alcuni elementi decorativi (delle paperelle gialle di plastica) e li sistema sul tavolo (salendo sulla scala per prenderli, la sedia sempre legata al suo corpo) poi, come ricordando improvvisamente le istruzioni, si versa dell'acqua nel bicchiere, sempre senza l'ausilio delle mani, e beve.
Poi con un gesto liberatorio svuota il tavolo e vi scrive sopra col gesso (tenuto dalla bocca, al contrario e da destra a sinistra, in favore di pubblico) la parola aiuto.
E' poi la volta delle braccia e, finalmente libera dalla sedia, si volta a spegnere la musica e a pronunciare con voce piccola da bambina un ultima volta la parola aiuto.
sviluppare una ricerca incentrata sull’incontro tra la composizione
coreografica contemporanea e la musica da camera.
Molto più di un divertissement Come liberarsi di Bela Bartok in cinque movimenti è una riflessione profonda sulla danza come gioco e sull'assuefazione alla violenza, e sulla passivizzazione del pubblico al quale non vengono dati più strumenti per apprezzare una froma musica che non sia pop(polare) che non trascura il gusto (e la ricerca) della performance (Inesi ha straordinarie doti atletiche).
Una performance coreutica elegante, sottile, colta e intelligente, proprio come la sua interprete creatrice.
Come liberarsi di Bela Bartok in cinque movimenti
di e con Caterina Inesi
musica Bela Bartok quartetto d’archi #4
interventi sonori Marco Della Rocca
luci Diego Labonia
incontri coreografici con Mikel Aristegui, Alessandra Cristiani, Idoia Zabaleta e i finalisti del premio GdA del Veneto
produzione Immobile paziente in collaborazione con Azala
Espacio (Spagna), Centro per la Scena Contemporanea (Bassano del
Grappa), Kreadanza (Roma), Induma teatro (Lecce), Inside/off (Torino)
Pieter Ampe & Guilherme Garrido (BE/PT)
Still Standing You
La chiacchierata è un modo informale di introdurre la coreografia ma anche un gioco tra i due performer per saggiare la resistenza di Pieter che rimane con le gambe diritte a sostenere Guillherme per un tempo lunghissimo, interminabile, un tempo al quale Guillherme è indifferente, tanto non è mica lui a sforzarsi.
Anzi, il performer parla, rimanda l'inizio della coreografia, è auto indulgente con la propria logorrea, flirta con qualche spettatore della prima fila (a metà spettacolo lo inviterà a visitarlo in camerino, dopo). E' già così cominciata la competizione ludica, virile, infantile, amicale, fatta di fiducia e intimità tra i due performer che si competono fisicamente lo spazio, usando il proprio corpo e i suoi limiti come elementi di una pratica coreutica unica nel suo genere.
Fino a una serie di composizioni finali in cui i due corpi si uniscono in una maniera molto fisica anche se per niente sessuale per ottenere degli ... origami di muscoli e membra e dar forma a strani animali (dai cui versi sono partiti in questo scambio ludico) con una precisione resistenza e intimità fisica che travalicano ogni forma di catalogazione (mostrandone la profonda non necessità) sancendo la profonda amicizia tra i due performer che precede e segue la performance la cui verità è componente essenziale per la riuscita della coreografia.
Non si può fingere una intimità fisica così evidente né simulare una verità così diretta e spiazzante che nessun gesto scandalizza o viene percepito come esagerato, sconcio o inopportuno, perchè perfettamente consono alla logica ludica del confronto tra i due uomini dove ogni gesto ha quella valenza performativa e non allude a nient'altro che al gesto esposto, compiuto ed eseguito.
Pieter Ampe & Guilherme Garrido (BE/PT)
Still Standing You
drammaturgia Rita Natálio
prodotto da CAMPO
coprodotto da STUK, Leuven (B) & Buda, Kortrijk (B)
residenza artistica Espaço Alkantara
occhio esterno Louise Van den Eede
Kamikaze Producciones (SP)
La Función Por Hacer
Spagna e Francia sono state le nazioni più presenti in questa settima, ricchissima e densissima edizione di Short Theatre dando l'opportunità di assistere a spettacoli altrimenti inacessibili al grosso del pubblico romano.
E' il caso della compagnia Kamikaze Producciones che ha presentato, in spagnolo, con sovratitoli in italiano, La Función Por Hacer (t.l. lo spettacolo per apparire) nel quale Miguel del Arco riprende i Sei personaggi... di Pirandello per approntare una riflessione contemporanea sui rapporti tra realtà e finzione.
La finzione della forma spettacolo, dove degli interpreti vestono panni altrui alla verità dei personaggi intrappolati in un momento della loro vita che si ripete in eterno (perchè non sono stati completati come personaggi dato che il loro autore non li ha voluti pubblicare, rendendoli così veramente autonomi).
Una finzione che riguarda anche le nostre vite la cui percezione e lo scopo è depositata in una percezione di sé che cambia col tempo e quando è passata è fittizia proprio come quella delle storie che gli attori e le attrici portano sulla scena. E' evidente nel mantenimento del carattere dei personaggi dello spettacolo che viene interrotto dall'arrivo dei personaggi in cerca di un autore, anche negli attori che li interpretano che si comportano esattamente come loro.
Sei tra attrici e attori sanno dare corpo e spessore a un testo complesso nel dirlo quanto naturale e spontaneo nel vederlo che riesce a raccontare una storia (sensibilmente diversa da quella originale) dove Del Arco non si lascia intimorire dal gigante del teatro italiano e riesce a contaminarlo con intelligenza senza volerlo aggiornare correggere o decifrare ma declinandone il discorso secondo direttive personali.
Uno spettacolo che chiede allo spettatore una responsabilità etica di prendere posizione dinanzi ciò che vede che la condizione passiva di consumatore di media contemporaneo gli ha fatto abdicare da troppo tempo.
Kamikaze Producciones (SP)
La Función Por Hacer
adattamento Miguel del Arco, Aitor Tejada
regia Miguel del Arco
suono Sandra Vicente
luci Juanjo Llorens
attrezzo J. L. Gallardo
produzione Kamikaze producciones