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SHORT THEATRE 2012 SECONDA SERATA

Ancora grande teatro a Short Theatre

Ancora grande teatro a Short Theatre

 Bis di Ambra Senatore e Antonio Tagliarini

Ambra Senatore e Antonio Tagliarini sono già in scena mentre il pubblico prende posto in sala. Separati, lei in piedi, di spalle, lui seduto, ricurvo su se stesso, cominciano la coreografia dalla fine.

In piedi, davanti al pubblico, si prendono gli applausi, che ancora non ci sono (anche se, a un certo punto, parte del pubblico sente di dovere applaudire per davvero). Gli applausi si prendono con un certo stile e una certa eleganza. Ambra e Antonio sorridono, composti, lui corre dietro le quinte per consegnarle una pianta finta, di plastica, a mo' di mazzo di fiori.

Poi escono dalle quinte, correndo, come si fa a fine spettacolo. Lei inciampa e cade, succederà anche a lui. E poi si ricomincia.

Già dai primi momenti si delinea l'architettura di una coreografia che si (pro)pone come una riflessione, elegante e arguta, sulla forma spettacolo della danza, nel terzo millennio. Cosa porta il pubblico in una sala a vedere due danzatori a esibirsi? Cosa conduce i performer a esibirsi per il pubblico?

Bis si pone queste domane nel momento stesso del suo farsi.

Così gli apparati del teatro entrano nella coreografia: gli applausi verranno presi anche ai lati del palco verso un pubblico immaginario, proprio come quello cui Senatore e Tagliarini evidentemente si rivolgono quando si pongono verso la platea, anche se è stracolma di un pubblico vivo e vero. Anche l'imprevisto tecnico trova dimora sulla scena: una voce al microfono informa che lo spettacolo riprenderà appena possibile costringendo, di fatto, i due performer a interrompere la coreografia mantenendo la posa.

Anche lo scarto tra interprete e personaggio, all'inizio impercettibile poi più evidente anche se sotterraneo, viene rappresentato  ricordando che a danzare, a recitare, ci sono due persone che non coincidono con la figura che interpretano o rappresentano quando sono in scena.

Lui sollecito e gentile, lei disponibile ma poco paziente (si risente quando, durante la pausa forzata dell'intervallo, lui si rifugia dietro le quinte, lasciandola sola in scena a tenere la posa) mentre le figure che portano in scena danzando sono tutte leggerezza e soavità.

E, naturalmente, i due interpreti non sono in scena mai nella loro
dimensione privata (reale) ma sono, sempre e ancora, due personaggi da interpretare.

Movimenti e situazioni, dentro e fuori la coreografia, si ripetono, con lievi modifiche, nuovi punti di vista, rinnovato entusiasmo o un'ombra di antico dubbio, di solitudine, di lontananza, nonostante la propensione vagamente ostentata di una complicità galante della danza in coppia.

Una coreografia eseguita in assenza di musica, tranne quella per l'intervallo e quella del quadro finale quando però Ambra e Antonio non ballano.

E mentre il senso di questa forma spettacolo sembra man mano prendere corpo, quando cioè il pubblico ne comprende sempre meglio la partitura sottile e dai dettagli minuti, la coreografia, grazie all'intervento di alcuni elementi di scena (essenzialmente alcune piante finte e un tappeto erboso anch'esso artificiale) si connota verso una rappresentazione meno astratta e più figurale, e Antonio e Ambra si presentano al pubblico novelli Adamo ed Eva. Prima beati e felici e ben presto annoiati e delusi emerge chiarissima e dirompente la consapevolezza di come noi esseri umani, perdiamo facilmente l'entusiasmo  e di come, in fondo, il raggiungimento di un significato certo, sul palco come nella vita, dopo l'eccitazione iniziale, sia meno interessante e meno vitale, meno energetico, meno entusiasmante, dell'affanno che si prova nella ricerca di un significato, una ricerca che è forse davvero l'unica coordinata esistenziale entro la quale siamo capaci di essere.

Una coreografia divertita e divertente nella quale Ambra Senatore e Antonio Tagliarini irridono destrutturando ma ancora agendola una forma di spettacolo che persiste e resiste.


Ambra Senatore e Antonio Tagliarini
Bis

di e con Ambra Senatore e Antonio Tagliarini

musiche David Bowie, Domenico Scarlatti

luci Leonardo Bucalossi

un ringraziamento per la collaborazione a Filipe Viegas

produzione ALDES / PLANET 3





Teatro della Tosse

Generazioni componibili

Generazioni componibili si ispira ai racconti di Andrea Pugliese pubblicati in People from Ikea. Uno spettacolo per un attore solo e uno schermo che ospita diversi tipi i videoproiezioni: immagini sulle quali il protagonista racconta e commenta, o con le quali interagisce (come nel caso del cliente in sala d'attesa in uno studio d'avvocati divorzisti) o veri e propri racconti per immagini che si sostituiscono direttamente all'attore, rimanendo per alcuni minuti l'unica fonte di narrazione.
Alessandro Bergallo si comporta come un padrone di casa, un ospite, un conduttore televisivo d'altri tempi (e a fine spettacolo vengono proiettati dei titoli di coda su alcune immagini di un antico filmato beat di Mina) e commenta, racconta, interpreta,
glossa, recita, interagisce col pubblico, come quando chiede aiuto per dare nome a oggetti d'arredo d'interni, mentre interpreta un uomo delle caverne che non conosce gli agi della moderna civiltà.

Un allestimento canonico uno spettacolo da camera non urlato e rispettoso, che trova il suo più grande difetto nei racconti di Pugliese che Bergallo, insieme a Emanuele Conte ha rivisitato. Racconti banali e superficiali, che pescano in una trita retorica narrativa, proponendo il misogino maschilista milanese, lo psicopatico che uccide la moglie, gli acari antropomorfizzati,   senza mai approfondire davvero alcun aspetto del tema centrale da cui lo spettacolo pretende di partire (il magazzino Ikea come laboratorio sociale, come esperimento antropologico in cui osservare il nuovo consumatore, il nuovo cittadino) riducendo tutto alle solite ovvietà sui rapporti uomo donna senza alcuna attenzione all'economia (anche quella Ikea) o alle nuove questioni sociali (il cambiamento dei costumi, l'emancipazione femminile, i nuovi diritti), stemperando il tutto in un racconto elegiaco sul quarantenne, troppo vecchio per stare coi giovani, ci spiega Bergallo, troppo giovane per stare coi vecchi

Se il teatro di parola ha ancora qualcosa da dire, in confronto  alle nuove forme della drammaturgia, questo Generazioni componibili non ce lo dice, lasciando adito al dubbio che sia vero forse il contrario.






Teatro della Tosse

Generazioni componibili
di Alessandro Bergallo, Emanuele Conte e Andrea Pugliese

tratto da People from Ikea di Andrea Pugliese

con Alessandro Bergallo

video ideati e diretti da Andrea Linke

luci e colonna sonora a cura di Tiziano Scali

con la partecipazione in video di Silvia Bottini e Simonetta Guarino, Simona Fasano, Paola Lattanzi, Falou Niang, Andrea Possa, Alice Rota



  

Teatri di vita

L’omosessuale o la difficoltà di esprimersi


L’omosessuale o la difficoltà di esprimersi è un testo di Copi, complesso per il tema affrontato e per lo sgangherato gusto camp che lo contraddistingue, a leggere il quale  si rischia di ridurre l'omosessualità, della quale sulla scena non si parla mai, al travestitismo o, peggio, all'ambiguità sessuale

Vi si racconta di Irina, che ha smesso di prendere lezioni di piano e si concede nei bagni della stazione a chi le capita, di sua madre, la signora Simpson,  e della signora Garbo, insegnante di piano di Irina che vuol fuggire con lei  in Cina, ora che Irina è incinta, di lei, e lasciare la Siberia, dove sono tutte rifugiate, previa la complicità di suo marito Garbenko e del generale Puskin. Irina ha però appena abortito e non sa davvero di chi sia il figlio, se di sua madre, della signora Garbo, di Garbenko o di qualche cosacco.
Irina accetta comunque di partire con la signora Garbo che, racconta, suo padre, per punirla di una sua relazione con un cinese dal quale ha avuto un figlio che ha poi ucciso, le ha fatto apporre chirurgicamente un pene, morendo poi di crepacuore.

Irina prima si fa la cacca addosso, poi si rompe una gamba, e infine si taglia la lingua ritardando con questi suoi capricci la partenza. 

Grazie a un pressante interrogatorio a Irina da parte della signora Garbo veniamo a sapere che la signora Simpson e Irina non sono madre e figlia, che sono diventate donne dopo essere state operate a Casablanca, che la signora Simpson si è fatta operare per poter essere deportata in Siberia con Irina e che Irina non voleva diventare davvero donna ma farsi solo il seno. 

Bastano questi elementi per capire l'impianto metaforico più che surreale della pièce, che è la più feroce denuncia del patriarcato, con cui gli uomini decidono le sorti di chi non sta nei ranghi, siano donne trasformate in uomini o uomini costretti  a mutilarsi per andare in un altrove dove essere se stessi. 
Una tragedia appena mitigata dal gusto camp dell'eccesso, dell'ironia e dell'autoironia, dal dettaglio sessuale esagerato e inopinato (il topo che Irina si infila nell'ano prima di partire, il dettaglio del membro del parrucchiere travestito con la veletta al quale Irina si concede, o quello del marito della signora Garbo) tramite i quali Copi denuncia la  morale borghese che non permette a nessuno di derogare da quelli che oggi, il testo è stato scritto nel 1971, chiamiamo stereotipi di genere, quelle caratteristiche e comportamenti cioè che consideriamo connaturati ai due sessi e che sono invece il frutto di una tradizione culturale.
L'omosessualità non viene mai menzionata nel testo, dove si parla solamente di rapporti eterosessuali tra uomini e donne (qualunque sia il sesso biologico di partenza)  e dove la procreazione di Irina è una intenzionale chimera  (visto che la riassegnazione di sesso rende irrimediabilmente sterili), una eterosessualità  che sembra dirimere qualunque rapporto sociale.


L'omosessualità è  la grande assente proprio perchè non trova un linguaggio adeguato tramite il quale poter esprimere l'amore per le persone dello stesso sesso, se non tramite una rinormalizzazione che fino a ieri ha visto i gay femmine mancate e le lesbiche uomini mancati. Una rinormalizzazione che  partiva dall'idea che l'omosessualità fosse una malattia, derubricata solamente nel 1994, e che in Italia, vale la pena di ricordarlo, vedeva ancora nel 1971 curare, dietro ricovero coatto in manicomio, Giovanni Sanfratello,  il giovane compagno di Aldo Braibanti, processato e condannato per plagio, a base di elettrochoc e coma insulinici. 

Un testo così complesso nei suoi risvolti e sottotesti richiede una messa in scena di enorme precisione per non farlo implodere sotto il peso stesso dei suoi non detti.

Andrea Adriatico è riuscito ad allestire una messinscena che rasenta la perfezione.

A cominciare dall'uso dello spazio scenico  in cui lo spettacolo si è svolto, il canneto all'esterno del teatro India, che Adriatico impiega in maniera creativa non solo utilizzato un grande telo di plastica per segnare la zona di prato dove si svolge la scena ma estendendo l'azione, al di là della recinzione che delimita la zona dell'India, nei prati incolti che lo circondano  dove fa svolgere l'arrivo di Garbenko nella slitta trainata dai cani, a decine di metri dalla zona adibita a palco, che l'attore raggiunge scavalcando la recinzione. 

Per alleggerire il portato tragico della pièce Adriatico ha l'intuizione elegante e efficacissima di far svolgere l'azione non già nell'interno borghese della dimora di Irina e sua madre, come vuole Copi, ma in una spiaggia, dove le due donne si muovono con indumenti adeguati al luogo dal costume da bagno, agli asciugamani e gli occhiali da sole con annessi secchielli da spiaggia (in Siberia...). Tutti i costumi  (di Valentina Sanna e Andrea Cinelli, ) sono stati scelti in base a uno squisito gusto pop che rendono plausibile l'implausibile del testo sottolineando l'alterità di un discorso che si muove su più fronti. 

L'amore come manipolazione (quello di Garbo per Irina che vuole portarla via) quello della Signora Simpson per Irina, che si è fatta operare per poter essere deportata con lei in Siberia. 

L'odio patriarcale dei padri per le figlie (il padre di Garbo che l'ha resa uomo, o, meglio, donna col pene) e degli uomini su altri uomini (Irina che racconta di essere giunta in Egitto fuggendo dal Marocco, prima di essersi operata,  dove era stata coinvolta nel furto di una vacca da alcuni uomini). 

Un potere esercitato variamente tramite i sentimenti o la sessualità che meriterebbe analisi ben più approfondite di quella che possiamo permetterci qui. 

Si ride a denti stretti durante lo spettacolo, un riso mai come in questo caso esorcizzante, che grida con ferocia quell'impossibilità di comunicare che non è da imputare all'omosessualità di per sé ma al mondo esterno che non le dà modo né spazio nemmeno per esser detta per esistere come Irina simbolicamente denuncia quando si taglia la lingua. 

La messinscena di Adriatico si distingue anche nel finale. Mentre Copi chiude la piéce con Irina che fa i capricci fingendo di non riuscire a camminare Adriatico fa cadere stecchite le tre donne in terra raggiunte subito da un lancio di finocchi (quegli ortaggi che, ma è probabilmente falso, erano impiegati durante i roghi medievali per coprire l'acre odore di carne umana bruciata). Poi, sceso da un alto muro divisorio,  un uomo copre le tre vittime ripiegando il telo di plastica impiegato per delimitare la zona adibita  a palco, mentre sentiamo le note di Che cosa sono le Nuvole cantata da Modugno dal film omonimo di Pierpaolo Pasolini, dove uno spazzino getta le marionette Totò e Ninetto Davoli in una discarica.

Uno spettacolo perfetto nella messinscena quanto nella regia e molto anche  nella recitazione. 

Bravissime e intense Eva Robins e Olga Durano che dice le sue prime battute con la voce almeno un ottava sotto il suo tono naturale a sottolineare il sesso biologico della signora Simpson. Ancora più brava, se è umanamente possibile, Anna Amadori la disperata dignità con cui restituisce il vissuto delle parole e dei silenzi di Irina sono un risarcimento morale per tutte le vittime dello stigma sociale contro l'omosessualità, come Alfredo Ormando che il 13 gennaio 1998 si è dato fuoco davanti la basilica di San Pietro (Mi tolgo la vita perchè, a causa della mia condizione di omosessuale, non sono accettato dalla famiglia e dalla società) morendo dopo 10 giorni di agonia, al quale lo spettacolo è dedicato.

 


Teatri di vita

L’omosessuale o la difficoltà di esprimersi
di Copi
 
uno spettacolo di Andrea Adriatico

con Anna Amadori, Olga Durano, Eva Robin's; e Maurizio Patella, Saverio Peschechera, Alberto Sarti

cura Saverio Peschechera, Daniela Cotti

scenotecnica e luci Carlo Quartararo

costumi Valentina Sanna

scene e costumi Andrea Cinelli

organizzazione Monica Nicoli

grazie a Stefano Casi

 

Visto il 06-09-2012
al India di Roma (RM)