Lirica
SIEGFRIED

Firenze, teatro Comunale, “Si…

Firenze, teatro Comunale, “Si…
Firenze, teatro Comunale, “Siegfried” di Richard Wagner SIEGFRIED IPERTECNOLOGICO “Come faremo a far passare i mesi nell'attesa di Siegfried?” Questo mi chiedevo nel giugno 2007 nel chiudere la recensione di Rheingold/Walküre in scena a Firenze. Ora i mesi sono passati e il terzo capitolo della tetralogia coprodotta dal Comunale e dal Palau di Valencia è arrivato in Italia. Anche chi, come me, è entusiasta dei precedenti lavori, rimane soggiogato dalla potenza della messa in scena della Fura dels Baus, da linguaggio insolito della compagnia catalana e dall'inventiva dei video dalla tecnologia sofisticata e perfetta, a cui qui si ricorre maggiormente rispetto ai precedenti. La regia gioca con le immagini, rende visibili suggestioni, mostra quanto è nella musica e nel testo, dando il via a una serie infinita di rimandi non legati a un tempo e a un luogo. L'allestimento della Fura è frutto di un lavoro di squadra: la regia è di Carlus Padrissa, le stupefacenti immagini video di Franc Aleu, le scene visionarie di Roland Olbeter, i costumi fantasiosi di Chu Uroz, le luci perfette di Peter van Praet. L'accento è sulla metafora e sulla visionarietà, privilegiando l'aspetto fiabesco e di gioco tecnologico che sfrutta le possibilità offerte da fotografia, computer, proiezioni digitali, rilievi satellitari, senza dimenticare la presenza dell'uomo, sia per le acrobazie dei corpi sospesi e appesi, sia per gli addetti, “operai” che muovono a mano e a vista schermi e macchine, modus operandi tipico della Fura che non nasconde i trucchi, anzi li svela di proposito. Non manca una buona dose di ironia. All'inizio un'immagine del globo terrestre come con Google Earth, in progressivo avvicinamento fino ad infilarsi in un cunicolo che conduce alle viscere della Terra, dove sono Mime e Siegfried. Il grosso orso di cui al libretto è un cavallo, composto da innumerevoli figuranti attaccati l'uno all'altro per simulare il corpo dell'animale, alcuni sono sulle spalle degli altri per la testa e una donna dalla lunga capigliatura al vento è dietro come coda. Nel duetto degli enigmi si ripercorrono i capitoli precedenti, con i corpi umani-lingotti d'oro appesi a ganci e carrucole come carne da macello. Geniale l'idea delle riproduzioni digitali di Wotan e Mime su un monitor immerso in una vaschetta cilindrica contenente qualche soluzione chimica. Qui emerge prepotentemente l'aspetto mitico del racconto (prevalente nell'Oro e nella Valchiria) con l'irruzione dei robot-giganti e della “macchina” di Wotan. Il secondo atto si apre con un enorme bilanciere di solidi geometrici e uomini. Mime è vestito di bianco, Alberich di nero. Il drago è un enorme robot, si muove come uno scorpione sollevando testa e coda. Geniale la presenza di creature striscianti sul terreno, sottobosco umano in perenne contorcimento. L'uccello del bosco vola alto con le sue alucce in cui si vedono in evidenza le ossa, quando mostra a Siegfried la via per la roccia di Brunilde il cielo azzurro si popola di fiori colorati. L'inizio del terzo atto rapisce lo sguardo con una forte emozione, il lungo volo sopra montagne aspre di rocce scoscese ed innevate. Da una laguna oleosa e densa emerge il globo terrestre e la figura di Erda, sollevata in mezzo a vortici di acqua e nubi. La Terra diventa una palla di fuoco incandescente, poi una figura umana di lingue di fuoco. E un bosco di uomini che reggono ritte ed esili pertiche lunghissime. Come nel finale di Valchiria, Brunilde dorme sopra una piattaforma circolare circondata dal fuoco; durante il duetto ombre elettroniche si stagliano sui ghiacci nei video. Zubin Mehta dirige l'ottima orchestra del Maggio con intensità ed espressività; privilegia una tinta lirica ed intima, senza titanismo né eroicità e se questo lascia qualche dubbio sul finire del primo atto, quando Siegfried forgia la spada, per il resto convince, assecondando l'allestimento. Ottimo il cast. Leonid Zakhozhaev è un Siegfried dalle lunghe trecce rasta e la pelle ricoperta di tatuaggi triangolari; veste stoffa, pelliccia e ossa come un eterno Eracle; vocalmente mostra un certo affaticamento nel duetto finale con Brünnhilde ma il ruolo è terribile e la sua è una buona prestazione, giocata su un'ampia gamma di espressioni. Il Mime di Ulrich Ress sembra un po' l'inventore pazzo di certi film alla Fritz Lang, mentre Juha Uusitalo è uno straordinario Wotan che qui ancor più unisce la serenità del dio con la dubbiosa angoscia dell'uomo-viandante. Bravo Franz-Josef Kapellmann (Alberich nerissimo). Perfetta la Erda di Catherine Wyn-Rogers dall'acconciatura come la moglie dei Simpson; imponente e dalla voce splendida la Brünnhilde di Jennifer Wilson. Vola alto (letteralmente, in cima al boccascena) il Waldvogel di Chen Reiss; Stephen Milling (Drache) ha voce amplificata che si ammanta di echi da brivido. Teatro tutto esaurito, molti giovani, lunga coda all'ingresso alla ricerca di un ultimo biglietto. Pubblico in visibilio sia durante la recita che alla fine, dopo oltre cinque ore di musica e immagini. In attesa del Crepuscolo che è in programma per il prossimo Maggio Musicale. Prima dello spettacolo sul sipario chiuso vengono proiettate immagini del lungo e accurato lavoro di preparazione di uno spettacolo: sarti, parrucchieri, scenografi: tagliano stoffe, capelli, partiture, nastri di scarpette da ballo. E la didascalia, sempre la stessa, recita: “Noi tagliamo per lavoro. Non tagliateci il lavoro”. Applauso fragoroso e interminabile del pubblico tutto: la Spagna investe nella cultura, l'Italia purtroppo no. Visto a Firenze, teatro Comunale, il 23 novembre 2008 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Maggio Musicale Fiorentino di Firenze (FI)