Un lampione ed una panchina poggiata su di una breve striscia d'erba. E' questa la semplice e misurata scenografia che accoglie l'ingresso in scena di Sigmund & Carlo, i protagonisti dell'omonima piecè ideata, messa in scena ed interpretata, insieme a Roberto Cardone, da Niko Mucci; in questi giorni in scena al Teatro Elicantropo di Napoli.
Un dialogo tra due personaggi (Sigmund Freud e Karl Marx) che abbigliati col classico impermeabile da "pervertito da parco" attendono l'uscita delle alunne dal prospiciente Istituto Superiore femminile ove proprio in quei momenti si ritrovano, per una manifestazione pubblica, le più emerite cariche istituzionali del paese. I due, tra litigi e tentativi di allearsi nel portare a termine la loro misteriosa e, forse, impudica missione, mettono così a nudo la loro anima violata di uomini e pensatori che, seppur sopravvissuti al tempo, soffrono la degenerazione del pensiero che essi stessi, un giorno, generarono. In attesa del colpo di scena finale, i frequenti passaggi di auto li inducono a mimetizzarsi, assumendo di volta in volta ruoli di improbabili pagliacci, religiosi, venditori: un j'accuse all'abuso interpretativo delle idee e delle ideologie, ed un accorato appello al senso della responsabilità collettiva, dall'evidente taglio epico e politico.
Ed è forse proprio la volontà di proporre un teatro epico che compromette il risultato finale di quest'opera. Attraverso la scenografia, minimale e stilizzata, e per mezzo della caratterizzazione mimica e linguistica dei personaggi, grottesca e sulle righe, la vera anima surreale e satirica del testo esce fuori. Sembra possa rimandare a quelle strisce fumettistiche che, in poche battute, freddano il lettore, ancora con il riso sulle labbra, con la scure di un'efficace satira. Ed invece non si scommette a pieno su questa linea, seppur evidente e credibile, e la si utilizza solo come trampolino di lancio per "tirate" sulla stretta contemporaneità politica e sociale.
L'induzione al vero, al contemporaneo, che prende forza con lo svolgersi dell'azione mortifica l'idea di base ed anche il colpo di scena finale, che per contrasto avrebbe perfettamente centrato il bersaglio: la coscienza del pubblico astante. Per inverso è ciò che fece Charlie Chaplin, con le gerarchie nazionalsocialiste, nel suo Il grande dittatore (1940). Se la pellicola è ricca di una messa in scena verosimile (divise, parate militari, etc.) per contrappunto, Adenoyd Hynkel (il Führer della Germania) nella solitudine del suo studio, danza soavemente con un enorme mappamondo.
Grande merito va dato alla stilizzazione dei personaggi, giustamente calibrati e ricchi dei necessari dettagli. Se da un lato Sigmund è ritratto per mezzo delle sue manie e fobie ossessive compulsive (spicca tra tutte quella per la sporcizia), dall'altro, Carlo è forte della retorica di classe ed antiborghese. Una buona prova che, come confermato dalla chiacchierata a cui l'autore ha invitato il pubblico dopo lo spettacolo, necessita ancora di qualche cesellatura per raggiungere la sua forma perfetta.