Prosa
SIGNORINA GIULIA

Uno Strindberg <i>à la Malosti</i>

Uno Strindberg <i>à la Malosti</i>

La signorina Julie,  che il suo autore definì nella prefazione al testo tragedia naturalistica, fu scritta da Strindberg nei mesi di luglio-agosto 1888 imponendosi come testo audace e scandaloso per i temi affrontati e il modo di trattarli tra i quali l'incontro/confronto tra classi sociali (la Julie del titolo figlia di un nobile e il servo, e per giunta ladro, Jean) e lo scontro fra generi (Julie, allevata come un uomo per dimostrare che  le donne non gli sono inferiori in nulla, Jean prima sedotto e poi seduttore di Julie). Elementi che, per essere davvero compresi, vanno letti  attraverso le diverse lenti culturali del suo autore, dal naturalismo, mutuato da quello scientifico di Zola, alla profonda, ossessiva misoginia  che, nello stesso anno, fa scrivere a Strindberg un saggio dal titolo fiume: L'inferiorità della donna nei confronti dell'uomo con conseguente giustificazione della sua posizione subordinata.

Su queste coordinate Strindberg scrive una tragedia nella quale l'emancipazione femminile si traduce in una pulsione di morte. Pulsione di morte perchè, in quanto donna emancipata Strindberg teme che Julie non veda nella maternità la massima espressione del femminino (non a caso la sua cagnetta incinta le fa orrore), pulsione di morte quando Julie seduce Jean invece di lasciarsi da lui sedurre, pulsione di morte scritta in quelle regole dell'onore alle quali, suo malgrado, Julie non sa sottrarsi e che la inducono al suicidio.

Al di là della magnifica capacità di Strindberg di scrivere dialoghi all'altezza dell'approfondimento psicologico coi quali costruisce i personaggi c'è ben poco di naturalistico in questa tragedia, la cui vera matrice è metafisica (astorica) poco attenta al contesto sociale e al mondo storicamente determinati.
Il fascino che esercita questo testo sfuggente nelle cause ma sicuro negli effetti tanto da farlo portare ancora oggi in scena, risiede anche  nella sua disponibilità a dischiudersi a chiunque voglia avvicinarvisi, qualunque sia l'intenzione con cui lo si approccia.

A Malosti però non sembra tanto interessare farne l'esegesi, quanto piuttosto imbrigliare il testo in una ingombrante scenografia à la Malosti che non esiste per essere al servizio del testo, ma per semplificarlo in un immaginario collettivo da feuilletton d'epoca tutto sbilanciato verso il grand-guignol. Una macchina scenica che, tra luci sagomate e colorate che evidenziano zone e dettagli della scena, situazioni e  momenti della storia (il rasoio col quale Julie si toglierà la vita) e i rumori che sottolineano certi gesti degli attori,  l'aprirsi delle botole, nell'impiantito del palco, in pendenza, verso lo spettatore, dalle quali emergono oggetti o nelle quali Malosti scompare,   diventa uno dei personaggi del testo.
Un testo che Malosti restituisce con una recitazione antinaturalistica - solo in parte contrappuntata
dall'accento dialettale e dunque più veristico col quale Federica Fracassi interpreta la serva Christine (alla quale Malosti riduce drasticamente e inspiegabilmente la parte) - niente affatto interessato a restituire le sottili evoluzioni psicologiche dei personaggi che rimangono uguali a se stessi per tutta la tragedia ben diversamente dall'originale.

La misogina di Strindberg, però, rimane in tutto il suo fastidio, alla quale fa da eco l'interesse fin troppo contemporaneo di Malosti per la donna, sia nella postura disinvolta con cui fa agire Valeria Solarino (e non solo negli atti sessuali esplicitamente mimati in scena), sia nel lessico che esplicita con parole
di oggi quanto nel testo originale rimane più accennato,  culminando in un seno nudo che il regista impone a Federica Fracassi del tutto fuori contesto.

Una recitazione che sembra solo affermare il fascino affabulatorio degli attori, anche se questo narcisismo è regolamentato dalla macchina scenica che impone una rigida disciplina, e dove Malosti sovrasta ingenerosamente le due donne al punto tale da capovolgere il punto di vista del testo facendone di Jean, da lui interpretato, il vero fulcro, tanto che un titolo più consono sarebbe forse Il servo Jean che meglio dell'originale Signorina Julie descrive l'operazione che Malosti ha inteso intraprendere con questa sua ultima fatica.

Visto il 14-02-2012
al Eliseo di Roma (RM)