La signorina Giulia approda al teatro Agorà nella versione drammaturgia di Franco Mastelli per la regia di Gianni Leonetti.
Una messa in scena che sposta l'asse della pièce dall'ineluttabilità di un destino, visto non in senso moralistico ma "scientifico", di conformazione del carattere, maschile e femminile, portati "naturalmente" a certi eccessi, sbilanciandolo verso un dramma fosco, eccessivo e gridato. La regia chiede una grande prova ai due interpreti che enfatizzano ogni frase, ogni passaggio, cercando nel morboso quel che forse Leonetti non crede convincente nel testo di Strindberg, il cui testo può essere recitato sicuramente con toni più sommessi.
Una storia misogina nella visione del suo autore che qui diviene ancora più manichea. La signorina Giulia viene descritta come una maliarda ben diversa dalla figura cui aveva pensato Strindberg.
Lì infatti la spregiudicatezza della protagonista passava attraverso l'auto emancipazione e l'affermazione di sé, spiccando dallo sfondo di una società puritana come quella scandinava della fine del 1800.
Raccontandola allo spettatore di oggi Mastelli preferisce ridurre la spregiudicatezza di Giulia al solo cotè sessuale riducendo ulteriormente le notazioni del testo cui Strindberg, malgré lui même che descrivevano il vissuto di Giulia (la madre della quale era stata costretta ad avere figli anche se non ne voleva, perchè quello era il ruolo della donna...) particolare che viene espunto dalla messa in scena dove prevale l'odio per gli uomini, dato per partito preso, per femminismo ante litteram. Pesano di più il dramma del suicidio finale e la seduzione di Giulia ai danni del giovane servo (curioso che il servo venga definito con questo aggettivo quando nel testo è più grande di Giulia di ben 5 anni... La "giovane" non dovrebbe esser lei? Ah la misoginia degli uomini...).
Quello che lascia estenuati durante tutta la visione è però l'uso invasivo e didascalico delle musiche impiegate insistentemente come tappeti sonori, importuni (il valzer ripetuto in loop per i primi 10 minuti di spettacolo che quasi copre le voci degli attori, a dir poco insopportabile) che tradiscono una sfiducia del regista nella pièce se sente il bisogno cinematografico di chiedere alla musica di sopperire agli stati d'animo dei personaggi (e dello spettatore) che dovrebbero esser la recitazione e il testo a suscitare e non venire evocati dalla musica, mentre gli attori urlano, enfatizzano, si gettano a terra, si scompigliano i capelli, quando avrebbe forse giovato il mezzo tono, l'allusione, la compostezza di un dramma considerato all'epoca di una raffinata sensibilità psicologica. In mano a Leonetti la tragedia naturalistica si trasforma in uno psicodramma che non dà tregua allo spettatore, il quale, corrotto magari da tanta pessima semplificazione televisiva, esce dalla sala anche soddisfatto e contento, ignaro che di Strindberg ha visto forse ben poco.
Visto il
06-02-2010
al
Agorà 80 Sala B
di Roma
(RM)