Simon Boccanegra è un’opera affascinante per l’universalità dei temi trattati (odio, amore, potere, perdono) e per un linguaggio musicale maturo che, privilegiando il declamato e il concetto di scena, ricerca continuità ed efficacia drammatica. L’opera fu riscoperta da Claudio Abbado negli anni Settanta con un memorabile allestimento scaligero e da allora, seppur considerata difficile sia da comprendere che da eseguire, è sempre più presente nella programmazione dei teatri. In questi giorni, per festeggiare il bicentenario verdiano, è in scena in contemporanea a Torino e a Parma (recensione presente nel sito).
In tempi di austerità, da buon teatro virtuoso qual è, il Regio di Torino ripropone in apertura di stagione, debitamente restaurato, il suo storico allestimento creato da Sylvano Bussotti nel 1979. La ripresa della regia è stata affidata a Vittorio Borrelli, che ne ha conservato l’impostazione tradizionale senza ricercare nuove chiavi di lettura.
Alla regia va il merito di aver curato il movimento scenico di singoli e masse per conferire allo spettacolo rigore e misura e soprattutto un taglio narrativo scorrevole, lontano da quel romanzesco calligrafico proprio di alcuni allestimenti tradizionali.
Le scenografie sfruttano velatini trasparenti su cui sono dipinti scorci e ambienti tardomedievali; nel Prologo si riconosce, fra i palazzi dei vicoli, la facciata romanica di San Lorenzo dai marmi bicromi, mentre la parte bassa della scena ospita una successione di trifore di gusto floreale che incorniciano i personaggi mettendoli in primo piano. Ai lati della scena, come una sorta di quinte, s’intravedono sagome di vele geometriche appena accennate.
Il mare è sempre presente, diversamente inquadrato e per lo più notturno, generato da onde di rulli rivestiti di tessuto azzurrino con bagliori argentei: intravisto in lontananza, attraverso la finestra del tetro studio di Simone con la lanterna di Genova sullo sfondo, punto di luce e di fuga, o a tutto campo nella scena finale oltre una spianata di gradinate marmoree con una luna alonata che diffonde un chiarore crepuscolare.
I costumi tardomedievali particolarmente ricchi e preziosi e la presenza di paggi discreti e muti evocano storie da amor cortese e rimandano a livello iconografico a preziose miniature, come del resto i decori dorati e azzurrini che ornano le pareti e alludono agli splendori della superba repubblica marinara in perenne competizione con Venezia.
Il fascino del Simon Boccanegra risiede soprattutto nella timbrica scura delle voci maschili che vi si fronteggiano e nella figura del protagonista che nel corso dell’opera matura una straordinaria evoluzione, che si traduce in un canto ricco di sfumature e diversi sentimenti. Ambrogio Maestri ha dalla sua una voce generosa e possente, curata nel fraseggio e nell’emissione, però, seppur sempre ben cantato, il suo Simone privilegia l’aspetto umano e paterno a quello politico e la figura, priva di autentica lacerazione e pietas, non è completamente risolta sul piano interpretativo.
Temperamentosa e mai leziosa l’Amelia giovane di Maria José Siri: se ne apprezza accento e comunicativa ma, mentre il registro centrale è di suggestiva pienezza, si avvertono limiti negli acuti che suonano talvolta forzati.
Michele Pertusi, seppur non abbia quel colore di voce grave e profondo che l’implacabile Fiesco vorrebbe, si conferma cantante di classe per doti di intonazione e accento e il suo canto plasmato in modo autorevole ammanta Fiesco di nobiltà, un Fiesco di forte presenza, aristocratico per alterigia e protervia di rango come per il senso dell’onore.
Per un’indisposizione di Roberto De Biasio il ruolo di Gabriele Adorno è stato interpretato da Gianluca Terranova, tenore previsto nel secondo cast; se ne apprezza il modo elegante di porgere il canto, ma la voce talvolta stenta a reggere lo slancio degli acuti che paiono privi di squillo.
Bene Alberto Mastromarino, che ha sottolineato la natura infernale di Paolo con un canto scolpito e variegato di grande intensità vocale e interpretativa.
Fabrizio Beggi è un Pietro corretto, Dario Prola interpreta il capitano dei balestrieri, conclude il cast l’ancella di Sabrina Boscarato.
Protagonista di questa edizione il direttore Gianandrea Noseda, che imprime con una direzione fluida una dinamica articolata e cangiante che rende comprensibile il dipanarsi del racconto, mette in rilievo le diverse psicologie e valorizza gli elementi di novità della partitura in cui si prefigurano i capolavori della modernità come Otello. Noseda ci immerge in un clima di cupo pessimismo e anche i momenti di squarcio melodico e apertura (l’inizio del primo atto, l’evocazione del mare) sono pervasi da inquietudine.
Bene come sempre l’ottimo coro preparato da Claudio Fenoglio, che dà un ulteriore contributo alla definizione della tinta dell’opera.
Grande successo di pubblico e applausi convinti e prolungati a tutti gli interpreti.