Chiude in bellezza la stagione lirica del Teatro Sociale di Rovigo, una stagione contrassegnata dallo spettro di una crisi finanziaria che ha messo in forse il suo regolare svolgimento. Un Simon Boccanegra all’insegna della tradizione, frutto della collaborazione dei Teatri di Rovigo, Pisa, Lucca e Livorno, che hanno affidato la regia a Lorenzo Maria Mucci, al suo debutto. La sua è una mano fresca e giovanile, che riesce a unire tradizione ad approfondimento psicologico e drammaturgico, frutto dell’esperienza degli anni passati accanto a registi di fama. Per Mucci il tema dominante è ovviamente Genova, come porta del mare, e questi compare quasi sempre, azzurro, nel fondo; ma altro tema che la regia vuole mettere in risalto è la tomba: Simone accetta di essere doge per sposare Maria, ma nel cercarla ne trova soltanto un corpo destinato alla sepoltura e pertanto il suo dogato sarà proprio la tomba in cui sarà costretto a vivere. Ecco perché le belle, essenziali e funzionali scene di Emanuele Sinisi sembrano una schiacciante e opprimente tomba marmorea. Ma poi nella scena finale il mare e il cielo irrompono per liberare con la morte Boccanegra da questa prigione voluta. Una regia che piace e riesce a essere leggera e comprensiva in linea con la musica verdiana; nessuna retorica o ardite interpretazioni, ma la purezza e la semplicità irrompono in una storia dalla trama assai complessa.
La direzione musicale, affidata al maestro Ivo Lipanovic, è stata in linea con la regia, semplice e lineare con buoni attacchi, fedele alla partitura di Verdi, nonostante qualche violenza che nel piccolo teatro rodigino sia parsa eccessiva. L’Orchestra Filarmonia Veneta è riuscita a seguire il maestro Lipanovic e ad assecondare le voci senza mai a sovrastarle.
Il cast vocale era veramente d’eccezione e ha dato una prova notevole e di alto livello. Nel ruolo del titolo Stefano Antonucci, accurato e preciso, si è dimostrato all’altezza del personaggio; il suo Boccanegra è stato accorato e drammatico, paterno e regale; Antonucci si è inoltrato così nel personaggio dalla vocalità sicura e morbida, riuscendo a strappare più volte applausi dal pubblico. Ilona Mataradze è stata una Amelia dalla voce eccezionale, possente e scura, una vera rivelazione; il soprano riesce a rendere egregiamente tutti i colori della partitura e a offrire acuti sicuri e puliti: l’irruenza della voce forse non è proprio per il personaggio di Amelia ma, nonostante questo, è una bella voce che difficilmente si può dimenticare. Di Roberto Scandiuzzi nella parte di Fiesco c’è poco da dire, la fama che lo precede è sempre più confermata: il grande basso offre un personaggio ieratico e dolente, da un fraseggio perfetto; il suo Fiesco è emozionante e reso alla perfezione. Ivan Momirov è un Adorno dotato di una voce di grande potenza ed effetto, i suoi acuti sono penetranti e squillanti, il volume passionale è robusto, però a volte la voce perde il controllo e i pianissimi scompaiono nell’impeto di uno strumento incontrollato. Pienamente nel ruolo del perfido Paolo il baritono Ivan Marino. Valide interpretazioni per Matteo Ferrara in Pietro e Vladimir Reutov nel Capitano dei balestrieri. Il Coro Lirico Toscano, preparato dal maestro Marco Bargagna, ha affrontato l’opera con grande appropriatezza e unicità.