Un Rigoletto mille volte più difficile: Simon Boccanegra

Un Rigoletto mille volte più difficile: Simon Boccanegra

”E' una parte faticosa quanto quella di Rigoletto, ma mille volte più difficile” scrive Verdi a Ricordi nel 1870, a proposito del protagonista di Simon Boccanegra, perché gli necessitano ”calma, compostezza, e quella certa autorità scenica... La voce e l'anima non bastano”.

Capolavoro verdiano saturo d'odio e di astio

Tra i vertici della drammaturgia musicale di Giuseppe Verdi, Simon Boccanegra ha caratteri particolari. Estremamente tetra, persino torbida, satura di odii e rancori – pure le voci dei giovani amanti, Gabriele e Maria, trasudano ora malinconia, ora d'angoscia – ponendosi in questo sul piano di Macbeth o I masnadieri.
Verdi stesso si rammaricava della cupezza di questo suo “figlio gobbo”, respinto dal pubblico nella prima versione del 1857. Opera dominata dalle voci maschili gravi – tre baritoni ed un basso, coro prevalentemente virile – a fronte di due acute, un tenore ed un soprano; e che vede stravolto l'usuale rapporto tra le carature vocali. Baritono il protagonista, basso il suo antagonista; il soprano è figlia dell'uno, nipote dell'altro. Ama il tenore: figura giovanile sì, ma più irragionevole che eroica.

Una coproduzione imperniata su giovani leve della lirica

Questa coproduzione tra Piacenza e Ravenna vede in prima linea giovani di Opera Laboratorio, ambito di perfezionamento artistico avviato da Leo Nucci per la Fondazione Teatri di Piacenza. Ma per il protagonista s'è assoldato un baritono di consolidata fama quale Kiril Manolov, che di questo personaggio ha fatto un cardine della sua carriera. Ricchezza introspettiva, scavo del personaggio, voce magniloquente, ricca di colori e vibrazioni, costantemente ben calibrata, bella nobiltà di fraseggio sono i suoi punti di forza. Non a caso, anche il suo Falstaff ha pochi rivali. La virginale figura di Maria è tutta presente nelle limpide, accattivanti corde vocali di Clarissa Costanzo, Gabriele è risolto efficacemente dalla salda baldanza tenorile di Ivan Defabiani: il loro multicolore incontro è uno dei momenti più coinvolgenti della serata.

Il tenebroso ruolo di Fiesco è ben sbrigato da Mattia Denti, basso pieno di personalità; Ernesto Petti dipinge con notevole diligenza l'ambizione ed il livore di Paolo Albiani; Cristian Saitta è un solido Pietro. Dal podio dell'Orchestra dell'Opera Italiana vigila attento Pier Giorgo Morandi, con il suo saldo senso scenico, e la spiccata indole narrativa. E con la consueta attenzione ai dettagli nelle scelte dinamiche – vedi il vaporoso accompagnamento dell'aria di Maria - alle sfumature, alle mezze tinte, alle vibrazioni sottili. Cose che qui contano, eccome. Ancor più che altrove. Impeccabili interventi del Coro del Municipale di Piacenza preparato da Corrado Casati.
La regia di stampo tradizionale di Leo Nucci (coadiuvato da Salvo Piro) procede con sensata chiarezza narrativa: il che vuol dire che asseconda giudiziosamente il fluire musicale, anziché mettersi di traverso. Gran pregio, in verità. Carlo Centolavigna ha ideato scenografie di ampio respiro, rispettando quasi tutte le prescrizioni del libretto. Consoni allo spirito dello spettacolo i costumi che Artemio Cabassi ha approntato; ma perché abbigliare il capitano come un faraone in lamé?