San Severino, chiesa di Santa Maria del Glorioso, “Sinfonie d'Organo”
LA GUARIGIONE DALLE FERITE
Dieci anni è un tempo lunghissimo per guarire da una ferita. Non è così se le ferite sono quelle inferte dal terremoto.
A dieci anni dal sisma il santuario del Glorioso è stato riaperto: splendido come non lo era mai stato. Fino a pochi anni fa le pareti erano imbiancate a calce, ricoperte di muffa, la chiesa era buia ed umida, poco illuminata, quasi in abbandono. Poi la comparsa delle prime tracce di affresco, i sondaggi, l'inizio del recupero. E il terremoto che, improvvisamente, ne ha minato la struttura. Come la nostra vita, in quell'inverno in cui abbiamo sperimentato la precarietà della realtà oggettiva. E soggettiva.
Il recupero architettonico del santuario si è reso preliminare, prioritario ed indispensabile per proseguire nel recupero pittorico, oggi completati entrambi. E l'effetto è stupefacente, da stordimento.
La chiesa è stata costruita in due anni tra il 1519 e il 1521, a seguito della miracolosa lacrimazione di una statua della Pietà, ed affrescata nel giro di pochi anni. Un unicum nelle Marche, che non abbondano di tracce importanti del Rinascimento, epoca ormai in cui le città erano sotto lo Stato Pontificio ed avevano perso la ricchezza e l'importanza di quando erano piccole capitali indipendenti.
La scuola pittorica di San Severino, che aveva pregevoli antefatti negli affreschi di San Francesco al Castello (oggi nella sala 2 della Pinacoteca Comunale, con quei colori terragni da cui tutti poi riprenderanno), aveva raggiunto l'acmè con l'arte quotidiana ed ironica dei fratelli Salimbeni e con le pennellate dense e luminose di Lorenzo d'Alessandro; era poi proseguita con le opere strane, quasi espressioniste, di Bernardino di Mariotto, che, intorno al 1520, era tornato nella natìa Umbria (San Severino torna sotto lo Stato Pontificio alla metà del Quattrocento).
Ma proprio in quegli anni incominciava la decorazione a fresco della chiesa del Glorioso (ora spetta ad archivisti e storici dell'arte studiare per dirci di più): un ciclo pittorico sorprendente nell'insieme e nella collocazione in quel gioiello di architettura che è la chiesa. L'aspetto esterno di fortilizio, ingentilito dall'uso del mattone che nella cornice è messo di punta a creare una sorta di merletto, aggraziato nella facciata a capanna aperta da oculi e monofore. L'inusuale cupola a leggere costolonature vicina al campaniletto a vela. L'interno con le tre sobrie navate proiettate verso la tribuna in cui è conservata la statua della Madonna. L'uso della pietra celeste venata di grigio (cavata a poche centinaia di metri), così leggera ed aerea nelle snelle colonne impostate su alti basamenti. Le cappelle laterali, completamente affrescate da mani evidentemente diverse. Le tele di Ortenzio Bertucci e le altre opere mobili, per anni tristemente ricoverate altrove. Per chiudere con quella pianta della città affrescata sopra l'ingresso laterale: a guardarla la città sembra rimasta identica nei secoli. E questa è la sua forza. Ma anche la sua debolezza.
Il terremoto ha reso il Glorioso di sicuro più forte e saldo, in ogni caso migliore, più bello, ma ha lasciato tracce evidenti, incancellabili, con tutte quelle sbarre di acciaio che, alzando lo sguardo, corrono in ogni dove.
In questo luogo bello fino alla commozione il concerto “Sinfonie d'organo” è stato un'emozione che è arduo tradurre a parole, nonostante l'ouverture offerta a sorpresa dall'allarme, che non voleva saperne di tacere.
Il brano iniziale è stato un'ottima scelta, l'aria cosiddetta “sulla quarta corda” di Bach, conosciutissima (non fosse altro che per essere stata la sigla del televisivo Quark), eseguita dalla Filarmonica Marchigiana con un ritmo dinamico e veloce. Sul pizzicato dei violoncelli, i violini si sono mossi con arcate precise e ferme, sotto la guida impeccabile del primo violino, Elisabetta Garetti, creando un'atmosfera rarefatta e rilassata.
Infatti l'Orchestra ha suonato come in epoca barocca, senza direttore, seguendo il primo violino (una telecamera è stata montata per trasmettere l'immagine della Garetti all'organista).
Poi si è udita la voce dell'organo, uno splendido Fedeli dei primi del Settecento, nel concerto per organo e archi in do maggiore di Haydn: i tre movimenti, allegro moderato, andante e allegro, hanno permesso a Mauro Ferrante di mostrare come l'organo si accompagna alla perfezione a un'orchestra in ranghi cameristici.
Il maestro Ferrante ha poi stupito con la “Bergamasca” di Girolamo Frescobaldi: sette variazioni per poter apprezzare appieno i registri dell'organo e la capacità di cambiare radicalmente sonorità. E l'acustica perfetta del santuario.
Dopo il “Ballo della battaglia” di Bernardo Storace, l'atteso Mozart, intervallato da Pergolesi. Del secondo è stata eseguita la sonata in sol maggiore, del primo cinque sonate da chiesa per organo e orchestra e i rari schizzi K15 dai “Londoner schizzenbuch” per solo organo.
L'ultimo brano, maturo e compiuto, l'opera K329, suonato dall'organo e dall'orchestra al completo (archi, corni, fagotto e oboi) è stato bissato, a seguito degli applausi interminabili del pubblico.
Un bel concerto, che il luogo ha reso suggestivo. Irripetibile.
Visto a San Severino, chiesa di Santa Maria del Glorioso, il 24 maggio 2007
Francesco Rapaccioni
Visto il
al
Feronia
di San Severino Marche
(MC)