Le esibizioni di Michael Aspinall, deliziose e rare, sono occasioni d’intimo ritrovo per gli appassionati della lirica e del bel canto. L’eclettico maestro inglese, acclimatato ormai in Italia dove vive da oltre quarant’anni, costruisce le sue performance come preziosi innesti di erudizione e di leggerezza, la prima attinta dai tracimanti scrigni di conoscenza che il lungo studio e l’enorme esperienza gli permettono di governare con dissimulata semplicità; l’altra mutuata da forme di teatro popolare che spaziano dalla pantomima inglese alla commedia delle maschere italiana. Il risultato, come sempre, è felice e godibile: una fotografia dei modi e dei costumi di fine ottocento prima ancora che un’esplorazione vocale e musicale di quell’epoca.
Specialità di Aspinall è il ritratto parodistico, l’imitazione en travesti delle grandi dive del canto fin de siècle alle cui movenze fa garbatamente il verso riprendendone gli stilemi, gli stereotipi espressivi, i piccoli e vezzosi scatti sulla scena, che vengono amplificati e distorti fino ad un riconoscibile effetto comico. Da un punto di vista musicale il concerto è un’appassionata riscoperta di pezzi desueti o poco eseguiti, sia del repertorio colto, come la Ballata e la Serenata di Mascagni, sia del repertorio popolare come la divertente Bizzochella di Ernesto De Curtis e l’oleografica Ostriche di Luigi Denza.
Talora, è pur vero, la pantomima e lo scherzo indulgono a toni semplici, quasi da teatro delle marionette; ma se da un lato la risata comoda cattura un pubblico meno pretenzioso, dall’altro le burlette non compromettono l’equilibrio complessivo dello spettacolo: tanto è palpabile l’immedesimazione partecipe e quasi liturgica di Aspinall nel corpo della musica che il contorno di commedia non ne inficia la credibilità. Certo, fatto salvo l’incontinente buonumore di qualche spettatore, non sarebbe forse indispensabile un apparato di gag così insistite, giacché la risata più sostanziosa muove più spesso dalla sottile ironia musicale e interpretativa, piuttosto che dai cliché della recitazione.
Assediato dall’influenza – come lui stesso annuncia forse per scagionare una vocalità non più cristallina, vessillo di una lunga carriera – il Maestro esegue tutte le parti femminili con un filo di voce gentile e un po’ stanca, ma con gusto senza dubbio magistrale; lo accompagnano l’ottimo baritono Gioacchino Zarrelli e uno squillante tenore il cui nome resta inafferrato; voci piene e sonore che tuttavia, con intelligenza musicale, non sovrastano la più mite linea sopranile di Aspinall. Buon supporto offre la pianista Stefania Ganeri, che guida con attenta discrezione i cantanti; e la premura con cui contorna le voci fa perdonare qualche smarrimento nell’esecuzione.
Infine, dopo l’esilarante bis dei Clavelitos, un pubblico variegato per età e per aspettative si alza soddisfatto dalla platea; sperando che l’annunciato inizio del ciclo delle farewell performances resti soltanto un provocatorio vezzo d’artista, e non l’avviso reale dell’addio alle scene.
Teatro Il Primo - Napoli, 8 novembre 2008
Visto il
al
Il Primo
di Napoli
(NA)