Skianto funziona perché Timi è uno schianto, è l’essenza dello spettacolo e difficilmente un calembour tematico del genere reggerebbe senza di lui.
Skianto funziona perché Timi è uno schianto, è l’essenza dello spettacolo e difficilmente un calembour tematico del genere reggerebbe senza di lui. Eppure quest’epopea interiore che svela le difficoltà di una vita “diversa” sorprende. Sorprende per la sua capacità di portare realmente sul palco la complessità e ammaestrare il dolore a festa.
La pazza gioia di vivere
Life is now life is now, continua a ripetere il protagonista Filippo, proprio come faceva suo nonno. È la sua pazza gioia di vivere nonostante tutto. È un urlo alla Munch che possiamo sentire solo noi. Tra travestimenti, flashback, miscellanee musicali e visive è un carnevale che ti resta impresso e che si svincola dai limiti imposti dalla Natura di leopardiana memoria.
È un monologo buffo e surreale, toccante e disarmante, dove tutto parte e ritorna alla struggente interiorizzazione ed esternalizzazione della disabilità.
Lo spettacolo, però, non gira solo attorno a questo, delle volte quasi si dimenticano i disagi del protagonista e tutto diventa un varietà (non a caso lo è diventato finendo in tv). Forse perché in fondo tutti ci sentiamo in difetto con la vita e di fronte al suo mistero incodificabile avvertiamo una patina di incomunicabilità. Timi riesce a sublimarla con un riso dolceamaro ed è un lavoro ermeneutico per svelare l’intensità interiore intrappolata in un corpo incontrollabile.
Contaminazioni pop e peotiche
L’uso del dialetto umbro è per lui un ritorno alle origini, un registro necessario non solo per la veridicità del personaggio ma anche per la vicinanza emotiva alla vicenda (la storia della cugina).
Lo spazio teatrale si restringe, si illumina e rabbuia, come nella “scatola cranica sigillata”.
La fisicità va oltre i limiti con sospensioni, canti, balli, acrobazie, come nella fantasia o in un’ipotetica realtà alternativa. Ad accompagnarlo nelle performance c’è il musicista Salvatore Langella, bravo nel reinterpretare alcune famose canzoni pensate ad hoc per lo spettacolo.
Non mancano poi le contaminazioni pop (a livello musicale ma anche estetico) che sfumano al trash (con video divertenti e cartoni animati, soprattutto Candy Candy) ma che arrivano vertiginosamente alla poesia. Come “La nuvola in calzoni” di Majakovskij in pieno delirio alla Bene sfolgora.
Lustrini e glitter non sminuiscono il lirismo di certi momenti, perché l’assurdo capovolge la realtà, si muove su contrasti: “Grazie per il niente osceno che mi regali”, che sono “scarabocchi i sentimenti, scarabocchi i pensieri”.